Realizzato con il procedimento nazionale Fujicolor, fu il primo film a colori prodotto dalla Toho. Il regista Kajiro Yamamoto (1902-1974), qui anche produttore e co-sceneggiatore, era un fedelissimo della Toho, noto soprattutto per la lunga collaborazione con il comico Ken’ichi Enomoto (Enoken), figura di spicco del teatro di rivista di Tokyo prima della guerra. Yamamoto girò anche adattamenti di opere letterarie come Botchan (Il signorino, 1935) e Wagahai wa neko de aru (Io sono un gatto, 1936), entrambi tratti dai romanzi dello scrittore del periodo Meiji Soseki Natsume, e alcuni tra i più efficaci film di propaganda bellica. Esercitò una profonda influenza sulla storia del cinema giapponese in quanto mentore di Akira Kurosawa, che fu suo assistente in numerosi film, tra cui Uma (Cavallo, 1941). Regista tra i più affidabili della Toho, è stato una scelta ideale per questo film innovativo e spensierato che – come il pionieristico Karumen kokyo ni kaeru (Carmen torna a casa, 1951) della Shochiku – illustra i contrasti tra città e campagna nel Giappone del dopoguerra.
Il film narra la storia di due ragazze di origine contadina che abitano in un villaggio alla periferia di Tokyo destinato a essere presto divorato dalla metropoli. Le due sono combattute tra la vita rurale tradizionale e le moderne lusinghe della capitale. La strada che passa accanto alla fattoria e i camion che la percorrono sono i simboli della modernità che avanza. Il recensore di “Kinema Junpo” elogiò l’impiego preciso e consapevole del procedimento Fujicolor, trovandolo più adatto del Technicolor alla rappresentazione di usi e costumi giapponesi.