ŻYWOT MATEUSZA

Witold Leszczyński

Sog.: dal romanzo Uccelli di Tarjei Vesaas. Scen.: Witold Leszczyński, Wojciech Solarz. F.: Andrzej Kostenko. M.: Zenon Piórecki. Int.: Franciszek Pieczka (Mateusz), Anna Milewska (Olga), Wirgiliusz Gryń (Jan), Aleksander Fogiel (il padrone di casa), Hanna Skarżanka (la padrona di casa), Małgorzata Braunek (Anna), Maria Janiec (Ewa), Elżbieta Nowacka (la ragazza), Kazimierz Borowiec (il ragazzo), Aleksander Iwaniec (il cacciatore). Prod.: P.P. Film Polski, Panstwowa Wyzsza Szkola Filmowa, Telewizyjna i Teatralna. DCP. D.: 80’. Bn.

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T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

Concerto grosso di Corelli. Alberi. Vento. Uomini. Lago. Uccello. Con queste figure prende vita il primo lungometraggio di Witold Leszczyński, trasposizione cinematografica del racconto Uccelli del norvegese Tarjei Vesaas, saggio di diploma presso la Scuola Cinematografica di Łódź e immediatamente debutto cinematografico in grande stile nella Polonia del 1968. È un film pieno di pietà e spietato. Poesia sull’incontro tra uomo e natura e meccanismo perfetto di composizione cinematografica. È un esempio di disciplina e consapevolezza artistica assolutamente limpidi, netti, che immediatamente raccolgono i favori della critica e del pubblico polacco. Leszczyński, ingegnere elettroacustico, diplomatosi in direzione della fotografia e regia, fin da subito mette in chiaro il suo programma teorico, sull’esempio di Carl Theodor Dreyer, “non mi interessa l’immagine della realtà ma la realtà dell’immagine”. E procede con meditatissimo e incantevole rigore a comporre una costruzione di figure in dialogo, un mondo semplice e simbolico dove sacro e profano sono suoni e volti della natura, non sempre e solo umana. La musica di Corelli è parte integrante del film e le battute del Concerto grosso si riverberano tra gli sguardi stupiti e stupidi di Matteo, di cui il film racconta la parabola. La vita di uno stupido. Niente di più lontano, a cinquant’anni di distanza, da come possiamo immaginarci un film del 1968 con le sue figure chiave: la rivoluzione a colpi di rock, sesso, droga. Questo è un film che medita. Dove le righe sull’acqua che il vento fa e la corrente disfa scorrono implacabili e senza memoria e l’uccello che volteggia alto ha una sua verità. Il film, uscito nel febbraio del 1968, venne subito osservato con grande attenzione. Entrò in competizione al Festival di Cannes nel maggio dello stesso anno ma, a causa dell’annullamento del festival, subì una paradossale censura e non fu mai visto. Non conobbe quindi la fortuna che avrebbe potuto avere. Dopo cinquant’anni, in versione restaurata, eccolo per voi, bellissimo, da riscoprire e meditare.

Stanisław Bardadin

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