WRITTEN ON THE WIND
Sog.: dal romanzo omonimo di Robert Wilder. Scen.: George Zuckerman. F.: Russell Metty. M.: Russell F. Schoengarth. Scgf.: Alexander Golitzen, Robert Clatworthy. Mus.: Frank Skinner. Int.: Rock Hudson (Mitch Wayne), Lauren Bacall (Lucy Moore Hadley), Robert Stack (Kyle Hadley), Dorothy Malone (Marylee Hadley), Robert Keith (Jasper Hadley), Grant Williams (Biff Miley), Robert J. Wilke (Dan Willis), Edward C. Platt (Dr. Paul Cochrane). Prod.: Albert Zugsmith per Universal-International Pictures Co. █ 35mm. D.: 100’. Technicolor.
Scheda Film
“Uno studio sul fallimento”. Così Sirk definiva Written on the Wind, precisando che al termine inglese failure preferiva il francese échec, più carico del senso tragico di non avere via d’uscita. “L’échec è una delle poche cose che mi appassionino davvero”. Nessun romanticismo, nessuna concessione al mito del loser. Pur nella sontuosa stilizzazione, qui è tutto decadenza e rovina. Siamo in Texas, i macchinari estraggono petrolio a ritmo continuo e con un lamento cigolante, eco dei ritmi e del lamento di generazioni di schiavi, mentre villa Hadley è l’ultima replica di tante mansions coloniali e le foglie secche che turbinano ovunque potrebbero essere state portate fin qui dal vento di Tara. Una tragedia americana dove tutto è già accaduto, ma possiamo esser certi che domani non sarà un altro giorno: “Nei miei film volevo mostrare questo: le tragedie si ripetono sempre”.
Sirk ha a disposizione il suo miglior cast, e sa come usarlo. Tiene sottotono la coppia romantica, Rock e Lauren, lasciandoli però irradiare a ogni apparizione la loro luce divistica, e tende fino allo spasimo le passioni di Robert Stack e Dorothy Malone, i due ricchi, infelici, corrotti rampolli Hadley. Una retorica nitida e potente ci parla dell’irrisarcibile ferita di non piacere al proprio padre, della patetica utopia di tornare a un’infanzia innocente (che non è mai stata tale), della frustrazione sessuale coltivata come una malapianta, della tetra consolazione dell’alcol. Ci sono i colori, come sempre: fiori bianchi fanno da sfondo al passaggio di Lauren Bacall, anturium rossi e insolenti dividono l’inquadratura con Dorothy Malone, che per ballare la sua “danza di morte” (Fassbinder) si sveste e riveste di veli rosa, una qualsiasi cattiva ragazza diventata qualcosa a metà tra una Salomè e una lady Macbeth. Il film, alla fine, è suo e della sua solitudine: la scena in cui stringe tra dita carezzevoli il modellino di torre petrolifera è stata letta da Truffaut (e da tutti dopo di lui) nel senso dell’ironica compensazione sessuale, Sirk si limitava a dire: “Un’immagine agghiacciante della società americana”. Perché i colori ci sono, ma più che mai sembrano pennellate di vernice su un fondo scuro. Perché Written on the Wind è, per usare ancora le parole di Fassbinder, una cupa storia splendente “sull’amore, sulla morte e sull’America”.
Paola Cristalli