SORCERER
Sog.: dal romanzo Le Salaire de la peur (1950) di Georges Arnaud. Scen.: Walon Green. F.: Dick Bush, John M. Stephens. M.: Bud Smith, Robert K. Lambert, Cynthia Scheider. Scgf.: John Box. Mus.: Tangerine Dream. Int.: Roy Scheider (Jackie Scanlon/Juan Dominguez), Bruno Cremer (Victor Manzon/Serrano), Francisco Rabal (Nilo), Amidou (Kassem/ Martinez), Ramon Bieri (Corlette), Karl John (Marquez), Fredrick Ledebur (Carlos), Chico Martinez (Bobby Del Rios). Prod.: William Friedkin per Film Properties International DCP. D.: 121’. Col
Scheda Film
Quando Friedkin, forte dei successi di L’esorcista e Il braccio violento delle legge, impose a Universal e Paramount (insieme) – mettendoci anche denaro di tasca sua – un remake nichilista e filosofico di un grande noir francese (Vite vendute di Clouzot), senza grandi star e con una lavorazione complicatissima, nessuno pensava che fosse una buona idea. Dal punto di vista commerciale, avevano ragione: Sorcerer è uno dei grandi flop di un autore radicale, testardo e geniale. Dal punto di vista cinefilo, avevano torto: forse ancora più potente dell’originale, la storia di quattro uomini in fuga da sé stessi, trascinati dal feticcio del denaro, inghiottiti dalle sabbie mobili di un’impresa folle, somiglia più al cinema di von Stroheim e di Herzog che alla New Hollywood degli anni Settanta. Il cast (Roy Scheider, Bruno Cremer, Francisco Rabal, Amidou) rappresenta un po’ lo spirito autoriale di Friedkin, un incontro esotico tra cinema europeo e cinema americano nel mezzo di una terra di nessuno in Sudamerica. Girato nella Repubblica Dominicana sotto quaranta gradi all’ombra, infatti, Sorcerer ruota intorno a un tema per cui pare che il film parli di sé stesso: guidare due camion pieni di nitroglicerina riuscendo a non farli esplodere (la scena in cui passano sul fragilissimo ponte di legno sferzato dalla pioggia è leggendaria, una metafora della produzione che sta per precipitare). Le cronache dal set sembrano quelle di Apocalypse Now, tra attori colpiti dalla malaria, problemi caratteriali, litigi furiosi tra il regista e la troupe, direttori della fotografia che fuggono a meta lavorazione. Il tutto, però, finisce col detonare sullo schermo. Sorcerer somiglia a una rabbiosa implosione, a un’avventura autodistruttiva dove Friedkin si riconosce a tal punto nell’impresa da considerarla esistenziale. Il clima allucinato e febbrile viene esaltato dai Tangerine Dream, gruppo elettronico che avrebbe poi coadiuvato con il proprio stile spiazzante altri cineasti insofferenti alle regole hollywoodiane (per esempio Michael Mann in Thief).
Roy Menarini