NADARE

Mikio Naruse

[Valanga] T. int.: Avalanche. Sog.: dal romanzo omonimo (1936) di Jiro Osaragi. Scen.: Tomoyoshi Murayama, Mikio Naruse. Ass. regia: Ishiro Honda, Akira Kurosawa. F.: Mikiya Tachibana. M.: Koichi Iwashita. Scgf.: Takeo Kita. Mus.: Nobuo Iida. Int.: Hideo Saeki (Goro Kusaka), Ranko Edogawa (Yayoi Ema), Noboru Kiritachi (Fukiko Yokoda), Yo Shiomi (padre di Goro), Yuriko Hanabusa (madre di Goro), Sadao Maruyama (padre di Fukiko), Masao Mishima (avvocato Koyanagi), Akira Ubukata (Keisuke). Prod.: P.C.L. 35mm. D.: 59’. Bn.

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T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

Tra i film più sottovalutati di Naruse, Nadare descrive un triangolo amoroso in cui Goro (uno dei più detestabili tra i tanti imperfetti protagonisti maschili dell’autore, interpretato dal suo collaboratore abituale Hideo Saeki, 1912-2003) è combattuto tra la moglie e un’amica d’infanzia. Tratto da un romanzo a puntate di Jiro Osaragi (1897-1973), autore popolare spesso adattato al cinema, è stato scritto da Tomoyoshi Murayama, drammaturgo le cui idee nettamente di sinistra si riflettono nella critica del film alla borghesia occidentalizzata. Sebbene Murayama figuri come sceneggiatore, la sua versione dello script differisce sensibilmente da quella definitiva, completata dallo stesso Naruse.

Tra gli assistenti alla regia figurava un giovane Akira Kurosawa. Questi si lamentò del fatto che Naruse volesse “fare tutto da solo”, lasciando i suoi assistenti senza compiti, e raccontò di essersi addormentato sul set provocando le ire del regista con il suo russare. Kurosawa rimase tuttavia colpito dalla disciplina e dalla competenza di Naruse e disse di aver imparato molto dal suo metodo, che consisteva nel “girare in successione tante brevi inquadrature, che nel montaggio finale […] creano l’illusione di un unico piano sequenza”.

Il film suscitò le ire di diversi critici cinematografici dell’epoca. Fuyuhiko Kitagawa lamentò l’inadeguatezza del materiale letterario per un adattamento cinematografico, mentre Seiji Mizumachi di “Kinema Junpo” non apprezzò l’espediente tecnico piuttosto invasivo che consiste nel far calare una sorta di garza o di tenda sull’immagine per permettere ai personaggi di comunicare i loro pensieri al pubblico, come in un a parte teatrale. Oggi questa scelta appare invece stimolante nella sua sperimentazione. Il film si distingue per l’eleganza formale: Tetsuya Hirano elogia giustamente il dinamismo delle scene girate nei dintorni del Castello di Nagoya, le immagini della luce solare che filtra tra gli alberi e le panoramiche del protagonista che cammina sotto la pioggia.

Alexander Jacoby e Johan Nordström

Copia proveniente da

per concessione di Toho