LO SQUADRONE BIANCO
Sog.: dal romanzo L’Escadron blanc di Joseph Peyré. Scen.: Augusto Genina, Gino Valori. F.: Anchise Brizzi, Massimo Terzano, Antonio Cufaro. M.: Fernando Tropea. Scgf.: Guido Fiorini. Mus.: Antonio Veretti. Int.: Fulvia Lanzi (Cristiana), Francesca Dalpe (Paola), Fosco Giachetti (capitano Santelia), Antonio Centa (Mario Ludovici), Guido Celano (tenente Fabrizi), Cristina Olinto (capitano Donati), Cesare Polacco (El Fennek), Mohamed Ben Mabruk (Belkeir), Loris Gizzi (turista), Nino Marchetti (soldato). Prod.: Roma Film. 35mm. D.: 97’. Bn.
Scheda Film
Il più notevole film coloniale italiano resta Lo squadrone bianco di Genina del 1936. L’ambientazione è in Libia: un giovane tenente venuto in colonia per delusione d’amore è disprezzato dal rigido capitano ma nella battaglia del deserto contro i ribelli (con sequenze di grande eleganza visiva) e dopo la morte del comandante prende in mano lo squadrone e lo porta alla vittoria. Tornato al fortino trova la donna che ora è venuta a cercarlo ma sceglie di restare al suo posto. Tratto da un romanzo del francese Joseph Peyré, ha personaggi ‘alti’, raffinati, soldati che dovrebbero essere legionari, turisti che arrivano in visita e per i quali la colonia è una piacevole vacanza. Un esempio di cosmo-colonialismo (e infatti i francesi si dolsero che fosse stato un italiano a fare quel film), di cinema più europeo che italiano (e infatti il regista è Genina) che ha a che fare non col lavoro ma col bisogno individuale e romantico di fuga.
Alberto Farassino, Fuori di set, Bulzoni, Roma 2000
Dopo una decina d’anni di attività tra Francia e Germania, Genina torna a una produzione italiana per girare un film d’avventura coloniale, girato in esterni reali in Africa e accolto da grandi consensi critici. Il modello è quello del film esotico d’avventure, come La pattuglia sperduta (1934) di Ford e La bandera (1935) di Duvivier (ma anche un film muto diretto dallo stesso Genina, L’Esclave blanche, 1927, e Kiff Tebbi, 1928, di Camerini, da lui co-prodotto). Il lavoro di Genina e di Tonti nel deserto rimane impressionante, così come il design sonoro che intreccia voci, canti, musiche e angoscianti silenzi. L’avventura nel deserto è introdotta e inizialmente contrappuntata da una sezione urbana in eleganti ambientazioni déco che ricorda proprio il cinema del passato e, mentre fornisce una sponda al versante melodrammatico, marca idealmente la distanza dal cinema italiano coevo.
Emiliano Morreale