FORT APACHE

John Ford

Sog.: liberamente ispirato al racconto Massacre (1947) di James Warner Bellah. Scen.: Frank S. Nugent. F.: Archie Stout. M.: Jack Murray. Scgf.: James Basevi. Mus.: Richard Hageman. Int.: John Wayne (capitano Kirby York), Henry Fonda (colonnello Owen Thursday), Shirley Temple (Philadelphia Thursday), Pedro Armendáriz (sergente Beaufort), Ward Bond (sergente maggiore O’Rourke), George O’Brien (capitano Sam Collingwood), Victor McLaglen (sergente Mulcahy), Anna Lee (Emma Collingwood), Irene Rich (Mary O’Rourke), Dick Foran (Tim Quincannon). Prod.: Merian C. Cooper, John Ford per Argosy Pictures Corp. 35mm. D.: 127’. Bn. 

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T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

Settima collaborazione tra Ford e Fonda, Fort Apache è una proposta straordinariamente ricca. Lo storico statunitense Richard Slotkin lo considera “un influente esempio di mitografia”; in Dispatches di Michael Herr rappresenta il “momento mitopatico” che la guerra del Vietnam attuerà due decenni dopo, mentre per Jean-Marie Straub è la conferma che Ford era “il cineasta più brechtiano, perché fa dire allo spettatore ‘Accidenti, ma è vero o no?’, invece di offrirgli immagini che gli dicano cosa pensare”. Alla fine di Fort Apache questo esercizio di equilibrismo – la capacità di vedere e conoscere i tristi dettagli della condotta del colonnello Thursday promuovendo al contempo la diffusione della sua leggenda eroica – risuona ancor più forte che in L’uomo che uccise Liberty Valance, versione fordiana più tarda e famosa della stessa dialettica. Qui segna il culmine di svariate opposizioni trasformative: un film di guerra postbellico travestito da western sulla cavalleria; un racconto profondamente razzista dal quale è tratto un film che contempla non solo un percorso di pace con gli Apache ma anche il loro sfruttamento da parte di criminali spalleggiati dal governo; una storia di vita domestica in una comunità semi-matriarcale contrapposta a un protagonista duro e autoritario proveniente dall’Est del paese (il Thursday di Fonda), il cui disgusto per la nuova assegnazione si fonda chiaramente sull’arroganza sociale e l’odio etnico. In Fort Apache “la celebrazione della frontiera come culla della democrazia americana è moderata da una critica incisiva dell’imperialismo americano. È una svolta importante per un prodotto della cultura popolare realizzato all’apice dell’impero nel genere che donò all’America un’epica nazionale. I film di Ford sono forse le più sofisticate opere d’arte politiche che l’America abbia prodotto, perché comprendono, con una lucidità che non lascia spazio né al cinismo né al moralismo, il modo in cui il mito e la retorica, l’immagine e l’ideologia, operano in una società e in un sistema di governo. Sanno che una comunità ha bisogno di miti che la rendano coesa e che una democrazia ha bisogno di esporre il mito alla luce della ragione critica” (Gilberto Perez, The Material Ghost). Mentre i soldati lasciano il Forte per quella che sarà la loro ultima battaglia, tre donne cercano da lontano di identificare i loro uomini. La moglie del capitano Collingwood dice: “Non riesco a vederlo, vedo solo gli stendardi”.

Alexander Howarth

 

L’approfondimento su Cinefilia Ritrovata

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