F FOR FAKE

Orson Welles

Sog.: Orson Welles. Scen.: Orson Welles, Oja Kodar. F.: François Reichenbach. M.: Marie-Sophie Dubus, Dominique Engerer, Orson Welles. Mus.: Michel Legrand. Int.: Orson Welles, Oja Kodar, Clifford Irving, Elmyr de Hory, Joseph Cotten, François Reichenbach, Richard Wilson, Paul Stewart, Alexander Welles, Gary Graver, Peter Bogdanovich. Prod.: Dominique Antoine,  Richard Drewett, François Reichenbach per Les Films de l’Astrophore, SACI, Janus Film und Fernsehen. DCP. Col

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T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

Primo dei due film-saggio di Orson Welles usciti quando il regista era ancora vivo (il secondo, meno noto, è Filming ‘Othello’ del 1979), questo brioso montaggio a basso budget – che mette insieme materiale documentario scartato da François Reichenbach e nuovo materiale girato da Welles – costruisce una sorta di dialettica con It’s All True, rimasto incompiuto. Come lasciò intendere lo stesso Welles, un titolo altrettanto azzeccato per questo divertito gioco del gatto con il topo avrebbe potuto essere It’s All Lies, “Sono tutte bugie”.

I soggetti principali sono qui il falsario d’arte Elmyr de Hory, Clifford Irving, Howard Hughes, Pablo Picasso e lo stesso Welles; e ciò che conta è la pratica e il significato dell’inganno. Alcuni critici hanno ipotizzato che il film fosse una risposta indiretta di Welles all’affermazione di Pauline Kael, successivamente smentita, secondo cui il regista non avrebbe scritto una sola parola della sceneggiatura di Quarto potere; il suo commento sornione in F for Fake – sostenuto da un montaggio tra i più complessi in assoluto – suggerisce che la paternità artistica è comunque un concetto alquanto sospetto, una funzione dell’ancor più sospetto mercato dell’arte. Per un regista che evitava accuratamente di ripetersi e cercava sempre di stare alcuni passi avanti rispetto alle attese del suo pubblico, rigettando così ogni palese tentativo di mercificare il suo rango di autore, Welles probabilmente trovò in F for Fake un modo per contestualizzare buona parte della sua carriera, minando al contempo molte apprezzate convinzioni sulla paternità artistica e i mezzi con cui gli “esperti”, “il personale dono di Dio ai falsari”, le convalidano.

Il segreto della falsificazione di Welles, qui come in tutta la sua opera, è l’immaginazione del suo pubblico, che collabora attivamente e il più delle volte senza saperlo ai suoi progetti, con quel genere di complicità inconscia o semiconscia su cui fanno affidamento sia i maghi che gli attori. Come Finnegans Wake per Joyce, F for Fake fu per Welles un giocoso archivio di public history intrecciato a battute per iniziati e significati ambigui, un’elaborata commistione di senso e nonsenso che ci coinvolge comunque, indipendentemente da ciò che viene effettivamente detto.

Jonathan Rosenbaum

Copia proveniente da

Restaurato in 4K nel 2021 da La Cinémathèque française in collaborazione con Les Films de l’Astrophore, Documentaire sur grand écran, Cinémathèque suisse e Institut audiovisuel de Monaco presso i laboratori Hiventy e L.E. Diapason a partire da un negativo originale 35mm immagine e suono.
Restauro realizzato con il sostegno di Hiventy e la Fondation d’entreprise Neuflize OBC