DER LETZTE MANN
Scen.: Carl Meyer. F.: Karl Freund. Scgf.: Robert Herlth, Walter Röhrig. Int.: Emil Jannings (il portiere), Maly Delschaft (sua nipote), Max Hiller (il marito), Emilie Kurz (la zia del marito), Hans Unterkircher (il direttore dell’hotel), Olaf Storm (un giovane ospite), Hermann Vallentin (un ospite panciuto), Georg John (un guardiano notturno), Emmy Wyda (una vicina). Prod.: Erich Pommer per Universum-Film AG. 35mm. L.: 2024 m. D.: 90’ a 20 f/s. Bn.
Scheda Film
Alla prima berlinese di Der letzte Mann, il 23 dicembre 1924, il critico e sceneggiatore Willy Haas ebbe l’impressione di assistere alla nascita di “una nuova epoca nella storia della cinematografia”. Per Hass i meriti artistici del film erano tali da renderlo “non criticabile”. Tra questi: la sceneggiatura di Carl Mayer che riesce a fare quasi completamente a meno delle didascalie, con un’importante eccezione che interviene con forza nello svolgimento dei tragici eventi poco prima della fine; l’interpretazione di Emil Jannings nel ruolo dell’anziano portiere d’albergo che vede il mondo crollargli addosso quando viene degradato a custode dei gabinetti; le scenografie di Robert Herlth e Walter Röhrig, che danno forma architettonica ai contrasti sociali con la netta contrapposizione tra il mondo sofisticato dell’Atlantic Hotel tutto illuminato e lo spazio tetro del caseggiato; l’agile macchina da presa di Karl Freund, i cui movimenti fluttuanti dissolvono gradualmente la “monumentalità eroica” in un flusso “immateriale” di immagini; e infine, non meno importante, la regia di Murnau, che combina tutti i diversi elementi per creare una palpitante musica visiva: “La natura, il ritmo della vibrazione cambia; ma la magia della vibrazione, la natura dell’effetto rimane la stessa” come sintetizzò Haas nella sua recensione.
La conclusione cui giunse Haas la sera della prima si è da tempo consolidata in un aforisma della storia del cinema: Der letzte Mann, considerato un’opera fondamentale del cinema tedesco e internazionale, si spinge oltre i modelli stilistici dell’espressionismo e del Kammerspielfilm trasformandoli in una forma di “poesia cinematografica” (Siegfried Kracauer) che fino ad allora era stata impensabile, e dando vita a un “nuovo modo di vedere” (Herbert Ihering). I registi successivi impararono da questo film come conquistare il pubblico con storie narrate con mezzi puramente visivi. Non ultimo Alfred Hitchcock, che giunse a Babelsberg giusto in tempo per osservare Murnau durante le riprese di Der letzte Mann e che non smise mai di sottolineare l’influenza formativa che questo film esercitò sul suo lavoro.
Michael Wedel