DER GANG IN DIE NACHT
Sog.: dalla sceneggiatura Die Sieger di Harriet Bloch; Scen.: Carl Meyer; F.: Max Lutze; Scgf.: Heinrich Richter; Int.: Erna Morena (Helen Boerne), Olaf Fönss (Dr. Eigil Boerne), Conrad Veidt (un pittore), Gudrun Bruun-Steffensen (Lily, una danzatrice), Clementine Plessner; Prod.: Goron Films (Berlino); Pri. pro.: 13 dicembre 1920
35mm. L.: 1735 m. D.: 95′ a 16 f/s
Scheda Film
Tutto questo lungo film è intelligente. Le lezioni del cinema americano sono state adottate e assimilate. È piacevole vedere un film dove ci si è più preoccupati della linea generale e del ritmo che non del dettaglio inutile e grazioso. Sono stato colpito soprattutto dal senso del primo piano: non viene mai utilizzato invano, arriva sempre nel momento opportuno e in un movimento giusto. Olaf Fönss e Conrad Veidt sono interessanti ma fanno “teatro”. Ed Erna Morena è rimarchevole in una parte del film che costituisce d’altronde l’attrattiva dell’opera: nella campagna e sul mare si scatena una terribile tempesta e mentre l’uragano si abbatte sulla casa, la donna sola e tremante, sente tutt’un’altra tempesta, non meno violenta che si alza dentro di lei. È una sorta di monologo di trecento metri che ha un ammirevole vigore. Gli accessori (scenografie, mobili, indumenti, ecc.) sono precisi e vividi. Ed Erna Morena ha lo slancio inquietante che è necessario per condurci in questo quarto d’ora di turbamento, di ebbrezza nervosa, di semifollia.
(Louis Delluc, Cinéa-Ciné pour tous, 1921)
Questo dramma ci fa tornare alla mente le nostre migliori letture giovanili; ci suscita il ricordo di un dramma ibseniano messo in scena da Brahm, o di un’opera di Cechov realizzata da Stanislavskij. Sono rimandi obbligati. Che cosa lasciavano in noi quelle letture giovanili? Sensazioni musicali, il suono vago di una melodia bella e spontanea che sembrava sgorgare dal nostro intimo. E cosa rimane di tutto ciò in questo film? Qualcosa di prepotentemente musicale, l’immagine di un uomo e di una donna all’inizio del loro amore, seduti l’uno di fronte all’altra davanti a una tazza di tè, che respirano profondamente e dolcemente nell’aria mite della stanza illuminata da una lampada a gas, mentre fuori piove e soffia il vento; o il momento in cui lui, in seguito, le bacia la mano, e lei si abbandona tremante, allargando le braccia; oppure l’immagine dell’altra, della sposa abbandonata che, coricata sul divano a fiori, stanca, ammalata e triste per tutto ciò cui ha dovuto rinunciare, estrae da sotto il cuscino un ritaglio di giornale con un piccolo trafiletto sul marito. O ancora l’immagine del dottore che passa accanto al cieco urlandogli: “Ho ucciso tua moglie!” ma quello rimane fermo, con il volto irrigidito per il grande dolore, immobile. (…) La sceneggiatura scritta da Carl Mayer è l’opera di un poeta. (…) Incredibile come egli sappia procedere rapidamente, senza darsi pause; a volte gli bastano un paio di accenni, altre ha la capacità di soffermarsi, con ostinazione, come nella scena in cui le luci delle auto scivolano sull’asfalto bagnato di una grande città immersa nella notte o quando il mare è in tempesta. (…) La regia di Murnau? Parlando delle qualità del film pensavamo sempre alla sua regia… È tutto merito suo, e non c’è altro da aggiungere. Willy Haas, “Film-Kurier”, 14 dicembre 1920