“Clint, watch me!”

“Dicono che Michelangelo, quando gli domandarono cosa mai avesse visto in quel particolare blocco di marmo, che aveva scelto tra centinaia d’altri, abbia risposto che lui, nel marmo, ci vedeva Mosè. Per me vale la stessa risposta, ma rovesciata. Quando mi chiedono cos’ho mai visto in Clint Eastwood, che nel 1964 interpretava non so che ruolo secondario in un serial western televisivo, rispondo che io ci ho visto,
semplicemente, un blocco di marmo”.

Sergio Leone

 

Prima che la scelta ricadesse sull’allora semi sconosciuto Clint Eastwood, Leone aveva pensato a Henry Fonda per il ruolo dello straniero senza nome, tuttavia Fonda non ricevette mai il copione che gli era stato inviato. All’epoca Eastwood recitava nella serie tv Rawhide e Leone lo notò in un particolare episodio in cui non pronunciava mezza parola e si muoveva lentamente, con indolenza. Seppur troppo giovane, troppo pulito, sbarbato, il regista trovò in quell’attore e in quel suo particolare atteggiamente ciò che cercava, sapendo che avrebbe potuto trasformarne a suo piacimento l’aspetto in un secondo momento.

Eastwood accettò la parte e così, con indosso un poncho consunto, in testa un cappello e in bocca un sigaro, egli divenne quell’icona pop che oggi chiunque sa riconoscere, un paradigma dell’antieroe che da allora popola tanto cinema moderno.

Il lavoro con Eastwood e con gli altri attori sul set è stato più volte raccontato da Sergio Leone: si definiva un despota e, soprattutto nei primi film, amava dirigere tutti interprentando egli stesso i diversi ruoli, richiamando l’attenzione con la celebre espressione “watch me!” con cui si rivolgeva agli interpreti. “Gli attori – diceva – sono come bambini. Come bambini particolarmente viziati e rompiballe. Devi adularli e sgridarli, devi trattarli in un modo specialissimo, come se non fossero precisamente esseri umani. Più che amarli, li sopporto. Però devo spingerli a innamorarsi di me. Non è sempre facile perché, se l’attore ha un difetto veramente imperdonabile, è proprio questo suo insopprimibile bisogno di recitare. Gli attori vanno stancati e domati come cavalli di scena.
Devi obbligarli a ripetere infinite volte la scena finché non acquistano naturalezza e verità”.

Terminata la Trilogia del dollaro, le strade di Leone e Eastwood si separarono, ma l’attore, che in seguito si dedicò (e si dedica tuttora) alla regia, non ha mai nascosto il suo debito verso il regista che lo aveva reso una star cinematografica e, nel 1992, a tre anni dalla morte di Leone, gli dedicò il film Gli Spietati, un omaggio a quel western a cui Leone aveva ridato vita ma anche un addio simbolico al personaggio dell’Uomo senza nome

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