THE RAID
Sog.: Francis M. Cockrell, dal racconto Affair at St. Albans (1947) di Herbert Ravenel Sass. Scen.: Sydney Boehm. F.: Lucien Ballard. M.: Robert Golden. Scgf.: George Patrick. Mus.: Roy Webb. Int.: Van Heflin (maggiore Neal Benton), Anne Bancroft (Katy Bishop), Richard Boone (capitano Lionel Foster), Lee Marvin (tenente Keating), Tommy Rettig (Larry Bishop), Peter Graves (capitano Frank Dwyer), Douglas Spencer (padre Lucas), Paul Cavanagh (colonnello Tucker). Prod.: Robert L. Jacks per Panoramic Productions, Inc. 35mm. D.: 83’.
Scheda Film
La questione centrale del cinema di Fregonese – restare o andarsene? – è trattata con vivacità in questa insolita lettura della Guerra civile americana. Siamo in una cittadina del Vermont vicino al confine canadese, dove i membri di un gruppo di incursori confederati guidati dal pensoso maggiore Neal Benton (interpretato da Van Heflin) si sono infiltrati tra gli abitanti e preparano un audace assalto alla banca locale. Arrivato in anticipo per perlustrare il territorio, Benton entra a far parte della comunità grazie Katie Bishop (Anne Bancroft), attraente vedova che gestisce la pensione in cui alloggia sotto le mentite spoglie di un uomo d’affari canadese. Il maggiore è un uomo amareggiato, che ha visto andare a fuoco la sua piantagione durante un raid degli Unionisti, ma a contatto con la piccola comunità pian piano si addolcisce, pur continuando a custodire il suo terribile segreto.
Girato principalmente nei teatri di posa (“nei vecchi set di Via col vento alla RKO-Pathé”, secondo “The Hollywood Reporter”), The Raid crea una sorta di claustrofobia soft: la fotografia di Lucien Ballard resta luminosa e allegra anche quando il personaggio principale inizia a sentirsi soffocare: sta allo spettatore attento accorgersi che, come in Apache Drums, gli interni sembrano essere privi di finestre. Fuga è sinonimo di violenza e distruzione, rappresentate dalle bottigliette di nitroglicerina che costituiranno l’arma principale degli incursori. C’è instabilità anche tra gli uomini del maggiore, come nel caso del tenente dal grilletto facile interpretato da Lee Marvin.
Heflin, la cui natura scontrosa sembrava spesso una precoce manifestazione del Metodo di Hollywood, offre un’interpretazione studiatamente ambigua: la sete di vendetta del suo personaggio si scontra con l’affetto per la vedova, suo figlio e l’esistenza tranquilla che essi rappresentano. La tentazione della vita domestica forse non è mai stata così forte in un film di Fregonese, ma il suo eroe, fedele alla propria irrequietezza, sceglie infine la fuga, lasciando che il film si concluda con una toccante nota di caos e di miseria morale.
Dave Kehr