THE GREAT FLAMARION

Anthony Mann

T. it.: La fine della signora Wallace. Sog.: dal racconto Big Shot (1936) di Vicki Baum. Scen.: Anne Wigton, Heinz Herald, Richard Weil. F.: James S. Brown Jr. M.: John F. Link. Scgf.: Frank Paul Sylos. Mus.: Alexander Laszlo. Int.: Erich von Stroheim (The Great Flamarion), Mary Beth Hughes (Connie Wallace), Dan Duryea (Al Wallace), Stephen Barclay (Eddie Wheeler), Lester Allen (Tony), Esther Howard (Cleo), Michael Mark (guardiano notturno), Joseph Granby (detective), John R. Hamilton (coroner). Prod.: William Lee Wilder per Filmdom Productions, Inc. DCP. Bn.

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T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

La vita di Erich von Stroheim sembrava fatta apposta per il cinema noir. Magnificamente frenetico e insieme cupo, The Great Flamarion di Anthony Mann, di cui Stroheim è protagonista, ne rivela sia la superba facciata sia i danni irreparabili che essa ha prodotto […]. È un film di Mann, ma l’interpretazione, il personaggio e la storia di Stroheim sono così esemplari che la sua sola presenza nel film fa sì che se ne appropri: rispecchiandone la vita ma anche l’arte, da entrambi i lati della macchina da presa.

Richard Brody, “The New Yorker”, 23 maggio 2012

La reputazione di Mann si basa oggi principalmente sui western degli anni Cinquanta. […] Il rapporto moralmente complesso tra eroe e villain, a cui si deve in parte la straordinaria intensità dei suoi film, affonda le radici nei film noir degli anni Quaranta. Il lato più oscuro della natura umana, l’interiorità di questi primi personaggi psicologicamente tormentati è la forza determinante dei noir di Mann. […]
Con The Great Flamarion Mann iniziò a imparare il procedimento che gli permetteva di trasformare una materia prima improbabile in qualcosa di personale, o almeno di vagamente sovversivo. La formula dell’‘irredimibile bad girl’, immagine speculare dell’altrettanto popolare ‘moglie innocente spinta alla pazzia dal marito diabolico’, fa da base a un melodramma a tratti efficace e nel complesso avvincente. Le risorse di Republic consentono un certo numero di lunghe carrellate all’interno di un teatro e intorno alla buca dell’orchestra. Durante queste carrellate i personaggi sono inquadrati in modo preciso ed efficace, stabilendo relazioni più complesse di quanto indichi la sceneggiatura. Le trame con cui Mary Beth Hughes raggira Erich von Stroheim e altri personaggi assumono connotazioni convenzionali ma anche inaspettatamente sovversive e umoristiche, ancora una volta e quasi interamente grazie alle scelte di Mann riguardo al posizionamento della macchina da presa e alle angolazioni. Hughes che soppesa la sua prossima vittima in un’incredibile inquadratura dal basso o che complotta in un’inquadratura a due è inaspettatamente divertente, come lo è l’immagine devastante di un Erich von Stroheim pretenzioso e delirante che balla in camera d’albergo sulle ali dell’amore. Le tante inquadrature che sottolineano l’eccentricità di Stroheim, come il primo piano della rasatura della testa, offrono ulteriore divertimento a scapito delle più alte aspirazioni della sceneggiatura.

Robert Smith, Mann in the Dark, “Bright Lights”, n. 5, 1976

Copia proveniente da

Restaurato in 4K nel 2021 da StudioCanal presso il laboratorio VDM, a partire da un negativo originale nitrato conservato presso BFI National Archive