NICOLAS ROEG: IT’S ABOUT TIME…
Sog.: Nicolas Roeg. F., M.: Alex Jones. Int.: Dilly Barlow (narratore), Nicolas Roeg, Donald Sutherland, Julie Christie, Jenny Agutter, Luc Roeg,, Ben Wheatley, Danny Boyle, Mike Figgis, Bernard Rose (se stessi). Prod.: Anthony Wall per BBC Arena. DCP. Bn e Col.
Scheda Film
Spesso sono proprio i registi di opere considerate memorabili che finiamo inavvertitamente per dimenticare. È il prezzo che devono pagare per la loro originalità. Le loro innovazioni vengono assimilate, e in men che non si dica nessuno ne ricorda più la provenienza. Nicolas Roeg, perfetto esempio di regista il cui genio viene dato per scontato, liquiderebbe subito questo tipo di ragionamento: mal sopporta infatti qualsiasi discorso su influenze, longevità creativa e nuove tendenze. […] Uno sguardo alle sue opere migliori – Performance, Walkabout, Don’t Look Now, The Man Who Fell to Earth, Bad Timing, Eureka, Insignificance – ci dice che il tempo è irrilevante per chi è senza tempo. Data la riluttanza con cui Roeg guarda al passato, è un piccolo miracolo che si sia convinto a partecipare a Nicolas Roeg: It’s About Time.
Sembra che lo spunto del film venga dalla pubblicazione nel 2013 di The World is Ever Changing, una sorta di autobiografia che nel suo andamento divagante, frammentato e poco ortodosso riflette in tutto e per tutto la personalità del regista. […]
Le figure intervistate nel documentario sono poche ma di rilievo, e comprendono Julie Christie, così animata che la macchina da presa fatica starle dietro, e l’ex moglie Theresa Russell, con la quale Roeg ha creato un sodalizio artistico durato molti anni e che indica tristemente il possibile tema conduttore di tutta l’opera del regista (“Sei solo”). C’è anche chi è stato – diciamolo a bassa voce – influenzato o formato dalla visione dei film di Roeg, ed è qui per testimoniarlo: Danny Boyle, Ben Wheatley, Mike Figgis e Bernard Rose, ciascuno con il suo personale omaggio. C’è la solita disquisizione sul modo in cui Roeg esplora e rappresenta il tempo sullo schermo, che rimanda con struggente intensità al suo passato di montatore. Anche il lavoro di direttore della fotografia (per esempio nel Dottor Živago e in Fahrenheit 451) viene collocato nel giusto contesto.
Ma a incantare è soprattutto lo stesso Roeg, anche se non si capisce mai bene dove lo stiano portando i suoi ragionamenti. La conclusione però arriva sempre, dopo un giro più tortuoso e rivelatore di quello che noi avremmo voluto o potuto fare. Particolarmente affascinante è l’aneddoto su Stephen Hawking risalente ai tempi di Insignificance, film in cui si immagina un incontro tra Marilyn Monroe e Albert Einstein.
Ryan Gilbey, “NewStatesman”, 24 giugno 2015