LA FIN DU JOUR

Julien Duvivier

Scen.: Julien Duvivier, Charles Spaak. Dial.: Charles Spaak. F.: Armand Thirard, Robert Juillard, Christian Matras, Ernest Bourreaud. M.: Marthe Poncin. Scgf.: Jacques Krauss. Mus.: Maurice Jaubert. Int.: Louis Jouvet (Saint-Clair), Michel Simon (Cabrissade), Madeleine Ozeray (Jeannette), Victor Francen (Gilles Marny), Gabrielle Dorziat (Madame Chabert), Sylvie (Madame Tusini), Arthur Devère (il direttore di scena), Gaston Modot (il padrone del bistrot), Raymone (la padrona del bistrot), François Périer (il giornalista). Prod.: Regina Films ·DCP. D.: 105’. Bn.

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T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

Julien Duvivier conosceva il segreto per creare incipit fulminanti, dove in pochi minuti condensava con magistrale fluidità visiva l’atmosfera di un mondo, la fisionomia e la storia di un personaggio. La Fin du jour si apre con una rappresentazione di Antony di Alexandre Dumas davanti a una platea semideserta, dove la troupe ha fretta di terminare lo spettacolo per non perdere l’ultimo treno. Tutti tranne Saint-Clair (Louis Jouvet), vecchio attore al suo canto del cigno, che millanta un’imminente vacanza e invece sta per raggiungere la casa di riposo per attori all’abbazia di Saint-Jean-la-Rivière. È un altro spazio chiuso (come spesso nelle sceneggiature di Charles Spaak, si pensi alla Grande illusion) dove la storia di Saint-Clair si intreccia a quella di Cabrissade (Michel Simon) – attore fallito, usato come riserva –, di Marny (Victor Francen), mattatore in disarmo per la depressione causata dalla perdita della moglie, e di una vivida galleria di vecchi attori e attrici attentamente caratterizzati (fra cui Gabrielle Dorziat e Sylvie). Duvivier descrive la vecchiaia senza edulcorazioni, dominata da sentimenti di rimpianto, rancore e frustrazioni. Affida al genio di Michel Simon la maschera di uno sconfitto che si ostina a rifiutare la sua vecchiezza rifugiandosi in un irriducibile infantilismo. C’è anche un’eco autobiografica: la scena in cui Cabrissade sta per recitare finalmente il ruolo di Flambeau ma dimentica le battute al momento di entrare in scena fu realmente vissuta nel 1916 dal giovane Duvivier quando tentava la carriera di attore all’Odéon.
La fragilità della vecchiaia si riflette nella vulnerabilità dell’essere attori, che vivono nella finzione spesso anche fuori dalla scena, finzione che Duvivier (alludendo talvolta alle reali identità degli interpreti) mostra anche nei suoi risvolti di mistificazione, un gioco di maschere che può scivolare nella follia: il Saint-Clair del grande Jouvet, seduttore cinico, narciso inveterato (spedisce a se stesso le vecchie lettere delle amanti per far credere di essere ancora adorato) e crudele manipolatore, tenta di indurre al suicidio una giovane cameriera.
Realizzato da Duvivier dopo una prima esperienza hollywoodiana (The Great Waltz), il film fu premiato a Venezia con la Coppa della Biennale nell’edizione del 1939, travagliata dallo scoppio della guerra. La versione italiana fu tagliata di circa venti minuti.

Roberto Chiesi

 

Copia proveniente da

Restauro realizzato da : Restauro realizzato da

LA FIN DU JOUR

Restaurato da Pathé nel 2015 a partire dal negativo camera nitrato e dal negativo colonna ottico di Christian Duvivier/Pathé. Restauro in 4K eseguito presso il laboratorio L’Immagine Ritrovata.