JODĀYI-E NĀDER AZ SIMIN
T. it.: Una separazione. T. int.: A Separation. Scen.: Asghar Farhadi. F.: Mahmoud Kalari. M.: Hayedeh Safiyari. Scgf.: Keyvan Moghaddam. Mus.: Sattar Oraki. Int.: Leila Hatami (Simin), Peyman Moadi (Nader), Shahab Hosseini (Hojjat), Sareh Bayat (Razieh), Sarina Farhadi (Termeh), Babak Karimi (giudice), Ali- Asghar Shahbazi (padre di Nader), Kimia Hosseini (Somayeh), ShirinYazdanbakhsh (madre di Simin). Prod.: Asghar Farhadi per Asghar Farhadi Productions. DCP. D.: 119’. Col.
Scheda Film
Vincitore dell’Orso d’Oro alla Berlinale e dell’Oscar come miglior film straniero, Jodāyi-e Nāder az Simin ha infuso nuova vita nel cinema iraniano. È stato, di fatto, uno degli ultimi grandi film realizzati entro i rigidi vincoli e le ‘linee rosse’ dell’industria cinematografica iraniana – dove è richiesto un permesso ufficiale in ogni fase, dalla sceneggiatura alla distribuzione – che siano comunque riusciti a presentare una visione personale profondamente coerente e sfaccettata della società iraniana. Nader e Simin, una coppia della classe media di Teheran, sono sull’orlo del divorzio. Simin vuole emigrare in Australia mentre Nader insiste per restare in Iran e prendersi cura del padre malato di Alzheimer. La loro figlia di dieci anni, Termeh, è costretta a scegliere con chi stare. La situazione si complica quando Nader viene accusato di aver causato lesioni a una donna che aveva assunto per occuparsi della casa in assenza della moglie. Fin dai suoi primi lavori Farhadi attinge a due grandi tradizioni del cinema iraniano: i melodrammi realisti e socialmente consapevoli degli anni Novanta e i crudi film urbani degli anni Settanta. Ai primi conferisce suspense hitchcockiana e un affilato rigore formale; dei secondi ridimensiona gli eccessi modernisti troppo stilizzati e l’ambiente esclusivamente maschile. In Jodāyi-e Nāder az Simin il regista esplora i suoi temi ricorrenti, come l’effetto domino di una bugia apparentemente innocua che si trasforma in una valanga emotiva travolgendo tutti i personaggi coinvolti. Il film ritrae una società lacerata da divisioni di classe e diffidenza reciproca – sia tra individui, sia nei confronti delle istituzioni – dove l’occultamento diventa una strategia di sopravvivenza. La violenza imposta da istituzioni sociali disfunzionali – qui rappresentate dal sistema giudiziario e da un diritto di famiglia obsoleto – si trasforma in violenza emotiva che gli individui esercitano gli uni contro gli altri. Farhadi utilizza una messa in scena straordinaria che, come i suoi personaggi, alterna rivelazioni e occultamenti, condivisioni e reticenze. Cinema essenziale!
Ehsan Khoshbakht