HOLIDAY
Sog.: dalla pièce omonima (1928) di Philip Barry. Scen.: Donald Ogden Stewart, Sidney Buchman. F.: Franz Planer. M.: Al Clark, Otto Meyer. Scgf.: Stephen Gooson. Int.: Katharine Hepburn (Linda Seton), Cary Grant (Johnny Case), Doris Nolan (Julia Seton), Lew Ayres (Edward ‘Ned’ Seton Jr.), Henry Kolker (Edward Seton Sr.), Edward Everett Horton (professor Nick Potter), Jean Dixon (Susan Potter), Henry Daniell (Seton Cram), Binnie Barnes (Laura Cram). Prod.: Everett Riskin per Columbia Pictures. DCP. D.: 95’. Bn.
Scheda Film
Lo spettacolo di Hepburn e Cary Grant che eseguono insieme un numero da circo in Holiday, con salti mortali mozzafiato e capriole all’indietro, è la vera trasfigurazione dell’eros in azione, l’acrobazia come reciproca eccitazione.
Questo secondo adattamento di uno spettacolo teatrale di Philip Barry si inserisce nella tipica dinamica della commedia screwball, dove l’inversione dei ruoli sessuali si traduce in una libertà più ampia. Il livellamento delle difficoltà tra uomini e donne, in questi film, fa parte di un mondo reinventato in cui l’autorità maschile e l’imperialismo sessuale vengono smussati o sospesi mentre lo spirito femminile diventa dominante o almeno conquista la parità. Hepburn è nuovamente fuori fase con il mondo che la circonda, come in Bringing Up Baby, ma qui la sua ribellione è un po’ più ragionata: è ricca e non lo sopporta, e per questo si rifugia in un’oasi spensierata piena di giochi e giocattoli d’infanzia. Johnny Case è invece un uomo che si è fatto da solo ed è fidanzato con una ragazza ricca conosciuta da poco, la cui posizione sociale lo lascia interdetto. In realtà vorrebbe solo prendersi un anno di vacanza per capire chi è e che cosa vuole dalla vita. Questo suo desiderio di sottrarsi al lavoro per cercare il senso profondo dell’esistenza potrebbe essere uno dei motivi per cui il pubblico della Grande Depressione, alla disperata ricerca di impiego, non accolse il film con entusiasmo, a differenza delle generazioni successive. Eppure c’è qualcosa di intramontabile nelle parole caustiche di Hepburn quando dice “Lei non è stato ancora contagiato dalla riverenza per i ricchi”. Nell’edenica stanza dei giochi nascosta nel grande palazzo sulla Fifth Avenue, e sotto l’influenza liberatoria di Hepburn, Grant finisce per abbracciare lo spirito di follia e libertà che lei incarna, e così facendo diserta il mondo degli affari rappresentato dal futuro suocero.
La maestria con cui Cukor domina il tutto è superlativa, in un equilibrismo di primi piani e piani d’insieme, tra dolcezza e malinconia, rabbia (Hepburn e la sorella Doris Nolan) e stravaganza (i comprimari Edward Everett Horton e Jean Dixon), cupezza (il fratello alcolizzato Lew Ayres) e, ovviamente, il rigido conformismo (il padre Henry Kolker, Henry Daniell), e l’estro giocoso che domina il mondo della soffitta.
Molly Haskell