DAR GHORBAT / IN DER FREMDE

Sohrab Shahid Saless

Scen.: Sohrab Shahid Saless, Helga Houzer. F.: Ramin Reza Molai. M.: Ruhallah Emami. Int.: Parviz Sayyad (Husseyin), Cihan Anasai (studente), Muhammet Temizkan (Kasim), Hüsamettin Kaya (Osman), Imran Kaya (la moglie di Osman), Sakibe Kaya (la figlia di Osman), Wurdu Püsküllü. Prod.: Provobis Film, Kanoon-e Cinemagaran-e Pishro, Telfilm. DCP. Col.

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T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

Film di transizione che collega il periodo iraniano di Sohrab Shahid Saless al suo prolungato soggiorno in Germania, è il terzo film di una trilogia non programmata che comprende anche A Simple Event (Yek Etefagh sadeh, 1973) e Still Life (Tabiate bijan, 1974) e s’incentra sull’isolamento sociale e l’immobilità. Il film racconta alcuni giorni della vita di Husseyin (interpretato dall’iraniano Parviz Sayyad), “lavoratore ospite” turco che condivide un appartamento di Berlino Ovest con un gruppo di conterranei. Nessun altro film ha ritratto in modo così schietto e dettagliato la dolorosa ripetitività della vita di un immigrato. Saless, che aveva conosciuto il razzismo quando viveva in Austria, scrisse la sceneggiatura in dodici ore e girò il film in dodici giorni, utilizzando una troupe prevalentemente iraniana e attori turchi non professionisti trovati sul posto, in una sala da tè. Il progetto fu parzialmente finanziato da una cooperativa iraniana da poco fondata dal protagonista del film. Forza vitale nella carriera di Saless come produttore di Still Life, Parviz Sayyad era un attore/regista che poteva vantare grandi successi commerciali, serie comiche e film d’autore. Qui assume un incedere dignitoso, con tanto di valigetta di pelle, in penoso contrasto con il lavoro umile del suo personaggio. Il film fu proiettato in anteprima alla Berlinale, dove l’anno prima Still Life aveva vinto l’Orso d’argento.
La ripetizione, che nei film iraniani contemporanei era stata utilizzata come espediente poetico, qui sottolinea la sensazione di spreco. Lo stile austero di Saless si manifesta anche nei dialoghi, costituiti da parole mormorate o dalla piatta esposizione di banalità. È come se l’intero essere di Husseyin fosse schiacciato e rimodellato dalla pesante pressa che aziona ogni giorno nel ciclo senza speranza della sua vita.
Ritornano in abbondanza elementi di altri film di Saless: treni, lettere scritte e lette, così come la vista disperata di letti vuoti e sfatti. La vanità della vita è colta nei momenti morti, come quando la macchina da presa indugia dopo che il personaggio è uscito di scena, e fissando il vuoto rivela una visione tetra del mondo degli sfruttati e degli sradicati. Come a rispecchiare il backgammon giocato nel film, tutti i movimenti dell’esistenza sono solo manovre minime in un piccolo quadrato.

Ehsan Khoshbakht

Copia proveniente da

Un ringraziamento a FFA-Förderprogramm Filmerbe, Film Shift e Goethe-Institut per aver reso possibile il Shahid Saless Archive