CAMPO DI MAGGIO

Giovacchino Forzano

R., S. e Sc.: Giovacchino Forzano. Tratto dal dramma omonimo di Giovacchino Forzano. F.: Mario Albertelli, Augusto Tiezzi. M.: Giuseppe Becce. Scgf.: Antonio Valente, Ezio Polloni. In.: Corrado
Racca, Enzo Biliotti, Emilia Varini, Lamberto Picasso, Pino Locchi, Giovanni Cimara, Giorgio Capecchi.
P.: Consorzio Vis. D.: 100’. 35mm.

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T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

Il film, scomparso dalla caduta del fascismo, è stato ritrovato presso il CNC – Archives du Film in una
copia lavoro, lacunosa di alcune parti. Campo di maggio è sicuramente una delle scoperte di questa sesta
edizione de Il cinema ritrovato. Tratto dal primo soggetto teatrale suggerito da Mussolini a Forzano,
ripercorre gli ultimi cento giorni dell’epopea napoleonica. Della venerazione di Mussolini per Napoleone
già si sa va, ma nel film (interpretato dagli stessi attori che lo avevano portato sulla scena), i rimandi a
Mussolini e al fascismo sono così evidenti e dichiarati da poter immaginare un rapporto molto stretto ed
intimo tra il Duce e questo dramma. Nel film, come rilevato da Savio, vi è la critica al parlamentarismo
francese che, secondo Mussolini, impedì a Napoleone di agire liberamente e portò alla rovina l’Impero,
ma soprattutto vi è il ritratto tragico di un grande Duce, ripreso negli attimi della sconfitta. E questo duce
sconfitto ma enorme, che furibondo si getta sulla pianta della battaglia di Waterloo, ci rimanda, in un
sorprendente gioco coincidente di riscrittura della storia, a Hitler/Federico il Grande e a Stalin/Suvorov.
“Secondo le memorie di Forzano, dimostratesi in più casi assai labili rispetto ai documenti del tempo, il
primo incontro tra Forzano e Mussolini avviene nel 1923 in occasione della prima rappresentazione de I
Compagni (libretto di Forzano e musica di P. Riccitelli) al Teatro dell’Opera di Roma, dopo di che si
passa, dopo sei anni, al 1929 quando, in occasione del debutto dei Carri di Tespi di prosa sulla terrazza
del Pincio a Roma, Mussolini invita Forzano per il giorno dopo al Viminale (“Non stava ancora a Palazzo
Venezia”), nel corso del quale si sa che parlarono dell’idea del Duce di scrivere un dramma sulla fine di
Napoleone. All’indomani, Forzano riceve “vari fogli di appunti” che esplicitano questa idea “soprattutto
per mettere in rilievo quello che egli disse a Sant’Elena su gli Stati Uniti d’Europa” e una lettera dove
Mussolini gli scrive, tra l’altro: “Io li ho pensati, ma solo voi potete scriverli, perché solo voi possedete in
alta misura l’ingegno che il Teatro richiede: quello che fa muovere i personaggi, li fa parlare, fa succedere
delle cose. Leggete il libro dalle pagine che vi ho indicato e troverete che è possibile creare un dramma
pieno di colore, di vita, di eventi e di protagonisti. A suo tempo mi direte il vostro avviso…
Mussolini in realtà non si fida solo del proprio intuito: D’Annunzio aveva già provveduto, prima, a
metterci una buona parola. In una lettera del 2 gennaio 1928 ad Arnaldo Mussolini, fratello del capo del
governo, chiamato a farsi intercessore tra D’Annunzio e Benito Mussolini affinché non fosse sciolta la
“Dannunziana” – la compagnia finanziata dal governo, fondata nel 1926 per rapprese ntare i drammi
dello scrittore pescaresee affidata alla direzione artistica di Forzano -, D’Annunzio scrive tra l’altro: “Tuo
fratello – gravato da tanto cumulo di cure diversissime – non può avere oggi una immagine esatta di quel
che accade. […] Fa’ che i perfidi informatori e i furbi profittatori non prevalgano. V’è un uomo esperto in
ogni cosa di teatro, schietto e probo, ardito e prudente, fervido e cauto. Ed è un tuo amico, un nostro
amico: a me, invero, dilettissimo. Si chiama Giovacchino Forzano. Son certo che Benito ficcherà l’occhio
nel fondo, se accorderà al nostro amico un colloquio breve ma sostanziale. Ti chiedo di ottenermi questo
servigio. Darò a Giovacchino una mia lettera d’introduzione”. Forzano a quel tempo era regista di
successo, famoso per i suoi drammoni di ambientazione pseudo-storica, infarciti di passioni, con pretesa
alle alte significazioni, inseribili in quel genere di letteratura popolare che è la vita romanzata e che
Gramsci ebbe a paragonare al modello di Ponson du Terrail, ma “con tendenze conservatrici”.
Si era inoltre già distinto per le doti sceniche, particolarmente affinate, per gli allestimenti dei teatri lirici
e grazie ai quali, negli anni Trenta, fu sicuramente la firma di maggior spicco. Una pertinente valutazione
dell’esperienza cinematografica di Forzano, e del suo significato complessivo, soprattutto di Camicia
Nera, è imprescindibile dalle tappe che l’hanno preceduta, sia per come si evolve la collaborazione con
Mussolini, sia perché i film risentiranno pienamente della formazione teatrale del regista. Dai drammi
teatrali Campo di Maggio e Villafranca dipenderanno le realizzazioni e le riuscite stilistiche delle
reciproche versioni per il grande schermo.
Il parallelo storico tra Napoleone e Mussolini era già stato tracciato sul Telegraf dal giornalista Emil
Ludwig nel 1928, e da qui il Duce riprende gli appunti che poi passa a Forzano. La prima notizia sul
Napoleone si trova nel telegramma spedito il 12 ottobre 1930 al “Comm. Chiavolini Segretario del Capo
del Governo”: “Pregola comunicare S.E. che, dopo più di un anno di lavoro sebbene non continuo,
termino ora Campo di Maggio. Pregola esprimere a S.E. tutta mia gratitudine e chiedergli quando potrà
concedermi udienza. Gli porterò anche modellino plastica per mostrargli come ho risolto difficoltà scenacamera.
Pregola telefonare Serravalle Pistoiese. Devoti ossequi Forzano”.
Il dramma, che debuttò al teatro Argentina di Roma il 18 dicembre 1930, risultava scritto dal solo
Forzano, mentre per le rappresentazioni all’estero – scrive il regista – Mussolini concesse di mettere sul
manifesto anche il suo nome. Dopo di che tutti in Italia seppero di questa collaborazione, fino a quel
momento conosciuta soltanto da pochi intimi”. Il vociferare sulla stesura a quattro mani era diffuso e lo
apprendiamo dai rapporti della Polizia politica, in uno dei quali si legge: “Negli ambienti diplomatici si è
parlato molto in questi giorni di un argomento non strettamente politico: del nuovo lavoro di Forzano
Campo di maggio. Si dice che[…] il lavoro di Forzano sia stato fatto su misura”, ossia dietro
suggerimento del Duce. […] L’impressione dei diplomatici è che il lavoro del Forzano non presenti
nessun interesse speciale, né dal punto di vista teatrale, né da quello storico. Tuttavia interessa loro per il
parallelo che l’autore ha voluto stabilire tra Napoleone e Mussolini, per la propaganda antiparlamentarista
alla quale è ispirato, per l’allusione alla origine toscana dei corsi. Si rileva però con ironia che il Forzano
è stato, ai fini fascisti, assai poco accorto nella scelta del tema, perché egli è andato a scegliere l’epoca più
triste della storia napoleonica…”. Diremo solo, a citazione del momento storico e politico in cui maturano
i lavori teatrali di Mussolini-Forzano, che, con la scelta di Napoleone prima e di Cavour poi (Villafranca),
presi nei rispettivi momenti critici della loro carriera politica, Mussolini avrebbe lanciato una sorta di
monito a quanti intendevano intralciare e avversare la sua strategia, fondata “sui tempi lunghissimi, sui
tempi non degli uomini, ma delle generazioni”. Una strategia che, attraverso la rilettura di alcune figure
del Risorgimento e della Rivoluzione francese, conduceva al mito del nuovo capo, a imperitura memoria
delle future generazioni. Si legge in un verbale del 5 gennaio 1931, a proposito di Campo di Maggio a
quel tempo in scena a Milano: “Si dice che il duce si sia fermato prima della première sino a 5 ore al
giorno alle prove ed abbia modificato la partitura a sua volontà. La generalità dei commenti afferma che
lo scopo finalista di questo lavoro sarebbe la dimostrazione della nullità della camera e viceversa la
necessità di un dittatore per il buon andamento dello stato”. Il mito del “capo” funzionava molto meglio
all’estero, Francia e Germania soprattutto, dove furono tradotti e messi in scena i drammi mussoliniani. Il
25 settembre 1931 Forzano scrive a Mussolini e gli allega la prima pane della traduzione di Campo di
Maggio, che nel complesso gli “pare ottima; ma questi francesi conoscono poco la loro storia, si che i
critici drammatici italiani sono in buona compagnia: si figuri che il Mauprey, che pure ha fama di dotto
cultore di cose “napoleoniche”, quando si è trattato di ricostruire nell’originale francese interi discorsi o
frasi o motti veramente pronunziati o dall’imperatore o da altri, non ne ha riconosciuti nemmeno uno e ha
tradotto tranquillamente dall’italiano. Per le cose più importanti ho trascritto, in cartelle che ho messo nel
copione, il testo originale francese, ma sarebbe bene che, per non mortificare troppo il dotto cultore,
questa osservazione gliela facesse l’Eccellenza Vostra, ché rivoltagli dalla Eccellenza Vostra anche
l’osservazione gli riuscirà gradita”. Forzano così scrive da Parigi a Sebastiani: “I cento giorni – questo il
titolo della versione francese – hanno fatto qui la loro settimana trionfale al Rex che è il più grande
cinema qui a Parigi. Sembrava che i comunisti volessero far baccano perché hanno messo il film
all’indice, ma non si sono fatti vivi e, viceversa, la tirata contro i deputati è ancor più applaudita che
l’incontro col V reggimento e l’episodio di Cambronne, che qui suscita un delirio. Il vecchio e glorioso
Antoine ha scritto ancora un articolo sul film, dopo quel primo che scrisse in cui ringraziava Mussolini a
nome dei francesi per l’emozione provata a quella rievocazione di storia francese’. (Patrizia Minghetti, Il
cinema dei dittatori, Grafis, 1992)

Copia proveniente da