UTÓSZEZON

Zoltán Fábri

Sog.: dal romanzo Esti gyors (1963) di György Rónay. Scen.: Péter Szász. F.: György Illés. M.: Ferencné Szécsényi. Scgf.: József Romvári. Mus.: Szabolcs Fényes. Int.: Antal Páger (Kerekes Kálmán), János Rajz (Sodits), Sándor Kőmíves (Lauffer), Samu Balázs (Dezső), József Szendrő (il giudice Zorkay), Noémi Apor (la donna rossa), Lajos Básti (Holl Péter), János Zách (Szilágyi). Prod.: Mafilm, Studio 1. DCP. Bn.

 

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T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

Presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia del 1967, dove vinse quattro premi minori e fu protagonista di accese polemiche, Utószezon è un film dove uno dei nomi più importanti del cinema ungherese e della sua new wave degli anni Sessanta, Zoltán Fábri, prosegue la sua disamina morale della storia recente del suo paese e degli anni del nazismo in particola- re, come già in nei precedenti Due tempi all’inferno (1961) e Venti ore (1965). Qui però – partendo da un romanzo di György Rónay che la sceneggiatura di Péter Szász tradisce con intelligenza – i toni non sono unicamente drammatici, ma partono con quelli della commedia strampalata e si evolvono attraverso il grottesco per approdare al dramma angosciante e kafkiano, ragionando di Olocausto e senso di colpa, ma senza mai perdere quell’imprinting originale che gli permette di virare improvvisamente verso l’umorismo più sospeso e surreale. Un gruppo di pensionati perdigiorno della provincia ungherese decide di fare uno scherzo a uno di loro, facendogli credere di essere convocato dalla polizia per un colloquio; gli amici non hanno idea che così facendo scateneranno un dramma interiore che porterà il malcapitato a dover fare i conti con dei segreti del passato, suo e di tutto il paese, e che, dopo mille inseguimenti e peripezie, verrà risolto da un processo casareccio e surreale intavolato dalla comitiva di amici. Fábri mescola con grande libertà soluzioni moderniste, richiami felliniani, ammiccamenti al cinema di Jacques Tati e al neorealismo italiano: il protagonista Kerekes (interpretato dal noto attore Antal Páger, frequente collaboratore del regista) è anche fisicamente un personaggio che pare declinare l’Umberto D. di De Sica in chiave ungherese, afflitto non dal problema della povertà, ma da un peso enorme sulla coscienza che ha rimosso per anni e con cui si trova improvvisamente a dover fare i conti. In tutto questo, c’è anche spazio per citazioni estemporanee di Sant’Agostino, Friedrich Dürrenmatt e Hiroshima mon amour.

Federico Gironi

Copia proveniente da

Restaurato nel 2017 da Nemzeti Filmintézet Magyarország, in collaborazione con Magyar Operatörök Társasága HSC, con il sostegno di Magyar Művészeti Akadémia