LANG IS DER VEG

Herbert B. Fredersdorf, Marek Goldstein

Sog.: Israel Beker. Scen.: Karl Georg Külb, Israel Beker. F.: Franz Koch. M.: Herbert B. Fredersdorf. Scgf.: Carl Ludwig Kirmse. Mus.: Lothar Brühne. Int.: Israel Beker (David Jelin), Bettina Moissi (Dora Berkowicz), Berta Litwina (Hanne Jelin), Jakob Fischer (Jakob Jelin), Otto Wernicke (il primario), Paul Dahlke (il medico), Aleksander Bardini (il contadino), David Hart (signor Liebermann), Max Nathan (il partigiano), Heinz Leo Fischer (Chodezki). Prod.: Abraham Weinstein per Internationale Filmorganisation GmbH (IFO). 35mm. D.: 73’. Bn

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T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

Di Lang is der Veg si è letto molto ma è stato poco visto, nonostante la sua importanza storica: è tra i primi film di finzione prodotti dalla Germania che tentano di narrare l’Olocausto, e sicuramente il primo che vede collaborare alla regia un sopravvissuto (Marek Goldstein). Ma allora perché non è famoso come Morituri di Eugen York, uscito anch’esso nel 1948 e dedicato allo stesso tema? Una ragione molto semplice potrebbe essere che Morituri fu prodotto da Artur Brauner, che a cent’anni suonati continua a ricordarne l’esistenza alla Germania. Un’altra ragione, più complessa, ha a che fare con gli aspetti formali e linguistici di Lang is der Veg. Goldstein e Fredersdorf girarono il film principalmente in yiddish e in polacco, e questo alienò loro il pubblico tedesco; ma almeno fornirono dei sottotitoli, mentre Joseph von Báky lasciò esclusivamente in inglese il lungo discorso centrale di Der Ruf (1949), scelta che a quanto pare fa ancora infuriare gli spettatori… Inoltre Goldstein e Fredersdorf intrecciarono le scene di finzione con molto materiale documentario, infondendo al tutto una sensazione di urgenza e di immediatezza totalmente differente dall’estetica composta e quasi glaciale di Morituri. Lang is der Veg appare dunque un po’ sfilacciato, frammentario piuttosto che completo; ma c’è una dignità particolare in quella sensazione di cose che si rifiutano di quadrare, di incompiutezza, di un navigare a vista senza luoghi sicuri né ben definiti, di transitorietà. Se Morituri è un cenotafio di marmo, Lang is der Veg è simile a una bandiera strappata perduta nel vento dell’epoca. Una bandiera bianca e celeste, perché sono le speranze sioniste a muovere i profughi-sopravvissuti del film: vogliono andarsene dal campo di sfollati cui è ancorata la narrazione e salpare verso uno stato ebraico che non esisteva ancora quando iniziò la lavorazione, ma che era ormai nato quando il film uscì in sala.

Olaf Möller

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