THE GODFATHER
Sog.: dal romanzo omonimo di Mario Puzo. Scen.: Mario Puzo, Francis Ford Coppola. F.: Gordon Willis. M.: William Reynolds, Peter Zinner. Scgf.: Warren Clymer. Mus.: Nino Rota. Int.: Marlon Brando (Don Vito Corleone), Al Pacino (Michael Corleone), James Caan (Sonny Corleone), Richard Castellano (Clemenza), Robert Duvall (Tom Hagen), Sterling Hayden (capitano McCluskey), John Marley (Jack Woltz), Richard Conte (Barzini), Diane Keaton (Kay Adams), Al Lettieri (Sollozzo). Prod.: Albert S. Ruddy per l’Alfran Productions, Inc, Paramount Pictures. DCP. D.: 177’. Col.
Scheda Film
Fu Mario Puzo a proporre Brando come interprete del film tratto dal suo best seller, chiamato da noi II padrino per imperizia di un traduttore certo settentrionale, essendo The Godfather l’equivalente in linguaggio mafioso del meridionale ‘compare’. […] L’organizzazione del film fu affidata al producer Al Ruddy, che pensò a Coppola perché era italo-americano e perché aveva sceneggiato un film d’azione come Patton, generale d’acciaio. Ruddy e Coppola interpellarono Brando, che accettò immediatamente, ma incontrarono l’opposizione della Paramount: Brando non faceva più cassetta da tempo, ed era un noto piantagrane. Leggenda vuole che i boss della ditta si convincessero vedendo un provino con un Brando così trasformato da essere loro irriconoscibile. […] È convinzione di molti che il successo del film sia in buona parte dipeso dalla ‘fase’ attraversata dagli Stati Uniti nel ‘72, investiti da un’ondata conservatrice dopo gli sconvolgimenti degli anni Sessanta, ed è sintomatico che un attore che si era messo in prima fila, sia pure con l’abituale confusione ideologica, nell’appoggio alle lotte ‘contro il sistema’, si sia trovato a incarnare una sorta di emblema della conservazione. […] D’altronde il film di Coppola ebbe subito, alla sua uscita, due tipi di critiche estremamente contrastanti: quelle esaltate dei conservatori, appunto, speculari a quelle dei detrattori per gli stessi identici motivi; e quelle di chi vide nel film una metafora dell’America, convalidando senza saperlo l’opinione di Brando.
L’attore infatti aveva giudicato positivamente ruolo e progetto, con un certo coraggio (Coppola non era un nome, e il rischio che il film andasse male era grosso). Citiamolo, da alcune interviste che rievoca il suo biografo Bob Thomas. Dopo la visione privata del film montato: “Considero questo film una delle più possenti analisi mai fatte dell’America”. A “Newsweek”: “Non penso affatto che sia un film sulla mafia. Penso che sia un film sull’ideologia delle corporation. In un certo modo, la mafia è il nostro miglior esempio di capitalismo”. A “Life”: “La mafia è così… americana! Proprio prima di premere il grilletto, dicono alla vittima: ‘Solo business, niente di personale’. Quando leggo questo mi appaiono davanti agli occhi McNamara e Johnson e Rusk”.
Goffredo Fofi