Lo sceicco bianco al box office: l’insuccesso di un futuro Maestro
Lo sceicco bianco viene oggi annoverato tra i cult movie del cinema italiano. Ma al tempo della sua uscita, 1952, ricevette moltissime stroncature dalla critica. Apparentemente, non un buon inizio per il futuro Maestro del cinema italiano Federico Fellini!
Nonostante le tante “recensioni tiepide o sfavorevoli”, non mancarono gli estimatori entusiasti. C’è anche chi, come il critico Callisto Cosulich, defini la pellicola “il primo film anarchico italiano”.
Vediamo allora una breve rassegna stampa con le opinioni di critici autorevoli dell’epoca:
“Il film ha senz’altro al suo attivo una sceneggiatura intelligente e ricca di umore. Il racconto cinematografico presenta invece alcune difficoltà che ne frenano la limpida scorrevolezza”.
(Ezio Colombo, ‘Hollywood’, n. 369, 4 ottobre 1952)
“Sulla costruzione intima dei personaggi, inseriti in una atmosfera dal sapore kafkiano, poggia Lo sceicco bianco. Il film non solo riconferma le possibilità registiche di Federico Fellini dopo Le luci del varietà diretto in collaborazione con Lattuada, ma offre anche l’esempio di un’opera che, per essere valutata nei suoi effettivi valori, richiede un’attenta lettura e magari una rilettura. […]
La presentazione dell’«eroe» nasce da un’autentica fantasia inventiva: egli appare agli occhi incantati di Wanda come un dio, oscillante su un’altalena legata a due altissimi pini. Gustose e inedite altre trovate, come quella della fanfara dei bersaglieri e del commissario che, di fronte alla reticenza di Ivan, lo prende per visionario”.
(Guido Aristarco, ‘Cinema Nuovo’, n. 1, 15 dicembre 1952)
“Il film si regge, diverte, vale insomma per la parte introduttiva, quella che crea le premesse del ‘fatto’ attraverso una sequenza di annotazioni veristiche che denotano una valida sintassi registica, un gusto del particolare e una capacità indiscussa nel saperlo mettere in rapido rilievo. […] Poi il film cade nello sforzo di dover mettere in primo piano una vicenda ed un ambiente che proprio non ce la fanno a stare a galla”.
(Vice, ‘Il Lavoro Nuovo’, Genova, 5 giugno 1953)
“La storia dell’arte offre un numero cospicuo di esempi di autori che, pur senza pervenire a creazioni artistiche, offrono con le loro opere viventi esempi di una sincerità espressiva che testimonia il loro realizzarsi autenticamente in senso esistenziale. E ciò rappresenta indubbiamente motivo di non trascurabile interesse nella valutazione della loro personalità. Purtroppo non è questo il caso di Fellini, autore la cui precedente esperienza di regia, sia pure in collaborazione, non offriva elementi di cospicuo interesse: peraltro in Luci del varietà, opera decisamente mediocre, la presenza di Lattuada era valsa a conferirle quel minimo di dignità formale e quel ritmo sufficientemente serrato, che mancano invece totalmente a questo Lo sceicco bianco, film talmente scadente per grossolanità di gusto, per deficienze narrative, per convenzionalità di costruzione, da rendere legittimo il dubbio se tale prova di Fellini regista debba considerarsi senza appello”.
(Gino Ghelli, ‘Bianco e Nero’, n.9-10, settembre/ottobre 1952)
“Siamo tornati a rivedere Lo sceicco bianco di Fellini a quasi dieci anni di distanza dalla nascita. La gente rideva, divertita, e qualcuno esclamava: «Ma un film così, perché lo mettono fuori a Ferragosto?». Qualche altro riteneva si trattasse della più recente opera di Fellini, con un Alberto Sordi ‘ultimo modello’. Ripensavamo, mentre continuavano i commenti favorevoli degli spettatori, alla accoglienza di Venezia nel 1952: gelido disinteresse, sospiri d’impazienza, ‘beccate’ ironiche e perfino fischi. Quello che oggi viene considerato uno dei capolavori del regista della Dolce vita fu degnato di poche righe agrodolci dalla maggioranza della stampa. E non parliamo della giuria, che non lo prese neppure in considerazione. A Venezia, in quella che avrebbe dovuto essere la sede naturale del suo trionfo, Lo sceicco bianco pareva un intruso”.
(Angelo Solmi, ‘Oggi’, 17 agosto 1961)
Infine, dal volume I film di Federico Fellini (Gremesse Editore 1998), il commento del curatore Claudio G. Fava:
“Ne venne fuori un film che fece nascere perplessità e lodi […], che era in qualche modo fuori da molti schemi correnti dell’epoca: troppo lento, troppo parlato, troppo trasognato, troppo ironico, ecc. In più c’era Alberto Sordi, a cui non s’erano ancora abituati né pubblico né critica: Sordi con il suo faccione impagabile, stralunato, l’intenzione ironica così terribilmente romanesca, il sapore autodistruttivo che si rinviene sempre nei suoi personaggi più significativi, mescolanza di viltà e di trasalimenti autoironici, volutamente incredibili”.