L’accorato inno di Milestone ai per­denti, tratto dal celebre romanzo bre­ve di John Steinbeck, narra la storia di due braccianti vagabondi – Lennie (Lon Chaney Jr.), un omone grande e grosso affetto da ritardo mentale, e George (Burgess Meredith), che veglia su di lui. I due trovano lavoro in un ranch, ma l’incontro con la volubile nuora del padrone segna l’inizio del­la tragedia. In una delle più caustiche descrizioni retrospettive della Grande depressione, i due vagabondi trasan­dati e malridotti vanno insieme alla ricerca dell’utopia per poi scoprire che è solo un sogno irrealizzabile.
La terra, essa stessa uno dei perso­naggi della storia, occupa un ruolo centrale nelle composizioni inaspet­tatamente liriche di Milestone, che ricordano a tratti il cinema sovietico. Ci sono inquadrature all’interno di altre inquadrature, ciascuna scompo­sta in entità raggruppate e separate da elementi come letti a castello. Gli oggetti all’interno dell’inquadratura – in particolare fili, cinture, recinzioni – attraversano la composizione, talvolta proiettandosi dalla profondità di cam­po verso la macchina da presa come se Milestone volesse stabilire una connes­sione fisica tra lo spettatore e la scena. (Le copie originali del film erano vira­te seppia, a imitare le sfumature bru­ciate e dorate della California alla fine di luglio. Questo aspetto accentuava probabilmente la qualità tattile delle immagini).
Le interpretazioni sono tutte ec­cellenti, soprattutto quella di Roman Bohnen del Group Theatre nel ruolo di Candy, un mutilato più vecchio di lui di trentacinque anni. La scena in cui un caposquadra insiste in modo assurdo e crudele per uccidere l’ama­to cane di Candy, e infine ci riesce, è uno dei momenti più commoventi del cinema americano degli anni Trenta e rispecchia il famoso (e controverso) omicidio pietoso alla fine del film, in cui coloro che sognavano di “vivere del grasso della terra” finiscono per essere inghiottiti dalle sue paludi.

Ehsan Khoshbakht