Nel periodo 1951-1960 Yoshimura realizzò una straordinaria serie di film incentrati sulle lavoratrici di Kyoto, l’antica capitale del Giappone, in cui i problemi personali servivano a esplorare i dilemmi di una nazione alle prese con un cambiamento rapido e irreversibile. Nel loro insieme, questi film rappresentano una delle analisi più attente dell’esperienza giapponese del dopoguerra.
Il primo, Itsuwareru seiso, è un dramma scottante che esplora il conflitto tra vecchio e nuovo attraverso le vicissitudini di due sorelle: una è una geisha del quartiere di Gion, l’altra è impiegata presso l’ente del turismo. Machiko Kyo (1925-2019), all’apice della fama dopo che l’anno precedente Rashomon di Akira Kurosawa aveva segnato una svolta nella sua carriera, è superba nel ruolo principale di Kimicho, geisha testarda ma compassionevole.
La cupa sceneggiatura di Shindo era stata rifiutata dalla Shochiku a cui lui e Yoshimura l’avevano inizialmente proposta, così i due decisero di andare alla ricerca di maggiore autonomia e libertà creativa. Riuscirono a ottenere il sostegno della Daiei, per la quale Yoshimura avrebbe girato la maggior parte dei suoi film degli anni Cinquanta. Alla fine Itsuwareru seiso ottenne un grande successo di critica, conquistando il terzo posto nella top ten di quell’anno di “Kinema Junpo”, dietro a Bakushu (Inizio d’estate) di Ozu e a Meshi (Il pasto) di Naruse.
“Lodato per la sua resa precisa e realistica della particolarissima atmosfera di Gion” scrivono Joseph Anderson e Donald Richie, “fece di Yoshimura una sorta di rivale di Mizoguchi e lo consacrò come regista specializzato in film sulle donne”. In effetti il film talvolta è considerato un libero aggiornamento postbellico di Gion no kyodai (Le sorelle del Gion, 1936) di Mizoguchi. Ma lo stile di Yoshimura è unico, e combina scene dalle atmosfere delicate e momenti sorprendenti con fiammeggianti movimenti di macchina e montaggio rapido.

Alexander Jacoby e Johan Nordström