SHIROKOYA KOMAKO

Kenji Misumi

Sog.: da un racconto di Seiichi Funahashi. Scen.: Teinosuke Kinugasa. F.: Hiroshi Imai. M.: Kanji Suganuma. Scgf.: Akira Naito. Mus.: Ichiro Saito. Int.: Fujiko Yamamoto (Komako Shirokoya), Katsuhiko Kobayashi (Chuhachi), Mieko Kondo (Ogin), Minoru Chiaki (Matashiro), Ryuzo Shimada (Tango Abe), Ganjiro Nakamura (Shozaburo Shirokoya), Chikako Hosokawa (Otsune Shirokoya), Fujio Murakami (Seizaburo), Ichiro Izawa (Seibei), Ryosuke Kagawa (Chobei Kagaya). Prod.: Masaichi Nagata per Daiei – 35mm. D.: 91’. Col.

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T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

Questa tragica storia d’amore ambientata nel medio periodo Edo (1603-1867) prende spunto da un celebre caso giudiziario del magistrato Tadasuke Ooka, le cui sagaci decisioni legali entrarono nella leggenda. Okuma Shirokoya, figlia di un mercante di legname di Edo (l’antica Tokyo), intraprende una relazione amorosa e viene giustiziata per aver pianificato l’omicidio del marito con la complicità della cameriera.
A questi fatti si ispirarono vari racconti orali e opere teatrali; com’era prassi, data la censura del periodo Edo, negli adattamenti i nomi dei personaggi storici venivano leggermente modificati. Una versione intitolata Koi musume mukashi hachijo fu messa in scena nel 1775 nel teatro dei burattini bunraku e nel 1776 in una versione kabuki. Cento anni dopo la storia ispirò un’altra opera kabuki, Tsuyu kosode mukashi hachijo, più conosciuta come Kamiyui Shinza (Shinza il barbiere), nota ai cinefili giapponesi perché da essa Sadao Yamanaka trasse il suo canto del cigno, Ninjo kamifusen (Umanità e palloni di carta, 1937).
Il recensore di “Kinema Junpo” definì il film di Misumi “una rilettura moderna” della celebre storia e, secondo la sua previsione, avrebbe avuto presa sul pubblico femminile. La sceneggiatura era di Teinosuke Kinugasa, cui Misumi aveva fatto da assistente in Jigokumon; “Kinema Junpo” ravvisò l’influenza di Kinugasa nel ritmo e nell’eleganza della regia. Hiroaki Yoshida elogia il modo in cui gli spazi riflettono le relazioni private e sociali tra i personaggi. Vedendo che alcune scene chiave del film non sono presenti nella sceneggiatura e nel materiale di partenza, ritiene che Misumi possa esserne considerato l’autore.
Fujiko Yamamoto, che quell’anno lavorò con Misumi anche in Daibosatsu toge (Il passo del grande Bodhisattva), era una diva di prima grandezza della Daiei: in soli dieci anni, tra il 1953 e il 1963, apparve in oltre cento film; ottenne un enorme successo con l’ultimo dei tanti adattamenti del romanzo moralista di Koyo Ozaki Konjiki yasha (Il demone d’oro di Koji Shima, 1954) e fu lodata per la sua incarnazione di “un nuovo tipo di donna di Kyoto” (espressione di Hitoaki Kono) in Yoru no kawa (Fiume notturno, 1956) di Kozaburo Yoshimura, proiettato al Cinema Ritrovato nel 2016.
In Occidente è probabilmente più conosciuta grazie a Higanbana (Fiori d’equinozio, 1958) di Ozu, per il quale fu prestata alla Shochiku. All’inizio degli anni Sessanta manifestò scontento per le clausole del suo contratto e fece infuriare il temibile presidente della Daiei, Masaichi Nagata, tentando di rinegoziarne i termini. Lui la licenziò e le altre grandi case di produzione serrarono i ranghi, ponendo fine alla sua carriera cinematografica; in seguito, apparve solo a teatro e sul piccolo schermo.

Alexander Jacoby e Johan Nordström

Copia proveniente da

per concessione di Kadokawa Corporation