ROBIN HOOD
Sog.: Elton Thomas (Douglas Fairbanks). Scen.: Lotta Woods. F.: Arthur Edeson. M.: William Nolan. Scgf.: Wilfred Buckland, Irvin J. Martin, Edward M. Langley. Int.: Douglas Fairbanks (Duca di Huntingdon/ Robin Hood), Wallace Beery (Re Riccardo Cuor di leone), Sam De Grasse (principe Giovanni), Enid Bennett (Lady Marian Fitzwalter), Paul Dickey (Guy de Gisbourne), William Lowery (sceriffo di Nottingham), Willard Louis (fra Tuck), Alan Hale (Little John), Maine Geary (Will Scarlett), Billie Bennett (dama di compagnia di Marian). Prod.: Douglas Fairbanks Pictures. L.: 3340 m. 22 f/s. Col. (da un nitrato imbibito / from a tinted nitrate)
Scheda Film
Uno dei film più popolari del 1922 ha come protagonista l’amato ribelle della foresta di Sherwood – personaggio che ha colpito per secoli l’immaginazione degli artisti, ispirando ballate medievali e fantasie di celluloide –, cui però è riservato uno strano trattamento: ci vogliono settanta minuti prima che il simpatico, seppur compassato, Duca di Huntingdon (interpretato da Douglas Fairbanks) si trasformi in Robin Hood; una lunga ma gratificante attesa. Nel frattempo il regista Allan Dwan tiene occupati gli spettatori con la sua imponente ricostruzione della vita di corte, aiutato dai pittorici matte shot di Arthur Edeson e dalle belle scenografie, alcune delle quali disegnate da Frank Wright (figlio del grande architetto).
Dwan gioca con il contrasto tra le due metà del film e si allontana gradualmente dal tedioso manierismo di gentili donzelle e prodi gentiluomini per avvicinarsi alla gioia disinibita del popolo. La tirannia e il saccheggio dell’Inghilterra in assenza di Re Riccardo sono mostrate, come nelle incisioni medievali, con esplicita brutalità, lasciando lo spettatore abbastanza impreparato all’azione vertiginosa e perfino slapstick che segue. Di punto in bianco Huntingdon abbandona la sua pesante armatura per vestire i panni di un arciere provetto, e con la sua calzamaglia disegnata da Mitchell Leisen scivola lungo un tendaggio di dodici metri sfidando la legge della gravità di Newton. I personaggi, sovrastati dalle imponenti coreografie, appaiono liberati: i loro corpi iniziano a muoversi nello spazio grazie alla ginnastica e alle invenzioni dell’ingegneria meccanica. Ancora una volta il sorriso baffuto di Fairbanks dà vita al balletto di spade.
Ogni successiva rappresentazione di Robin Hood, compreso il gioiello in Technicolor del 1938 di Michael Curtiz e William Keighley (che prende in prestito dalla versione muta anche Alan Hale), ha rubato qualcosa a Doug e Dwan. Ma dove altro, se non in un muto, si sarebbe potuto affidare il ruolo di Re Riccardo a Wallace Beery senza temere che lo scapestrato gentiluomo biascicasse le battute con il suo accento del Missouri?
Ehsan Khoshbakht