RISKY BUSINESS
T. it.: Risky Business – Fuori i vecchi… i figli ballano. Scen.: Paul Brickman. F.: Reynaldo Villalobos, Bruce Surtees. M.: Richard Chew. Scgf.: William J. Cassidy. Mus.: Tangerine Dream. Int.: Tom Cruise (Joel), Rebecca De Mornay (Lana), Joe Pantoliano (Guido), Richard Masur (Rutherford), Bronson Pinchot (Barry), Curtis Armstrong (Miles Dalby), Nicholas Pryor (padre di Joel), Janet Carroll (madre di Joel), Shera Danese (Vicki), Raphael Sbarge (Glenn). Prod.: Jon Avnet, Steve Tisch per Warner Bros., The Geffen Film Company. DCP. D.: 99’. Col.
Scheda Film
Dunque dopotutto gli anni Ottanta erano un incubo, dove entri in una doccia su invito d’una bella ragazza nuda e attraversati i vapori ti ritrovi, con tre ore di ritardo, nell’aula degli esami di ammissione al college, che ovviamente non superi, e dunque addio Princeton, addio gloria e addio grana. Poi l’incubo prende, diciamo così, una curva libidinale più soddisfacente, che porta un diciottenne con il fresco sorriso di Tom Cruise a perdere focosamente la verginità, e quindi, per un intreccio di improbabili eventi, a ritrovarsi apprendista pappone e, tempo ventiquattr’ore, a trasformare in bordello la bella casa bianco-coloniale (a Chicago!) lasciata libera dai genitori in vacanza. Questi genitori sembrano l’eco frastornata di quelli di Benjamin nel Laureato, mentre lungo l’intero arco onirico-ormonale della storia fischiano frantumi di futuri film dell’epoca, Tutto in una notte o Qualcosa di travolgente, e risalendo s’arriva alla memoria di quel capolavoro capostipite dei film sulla perdita d’innocenza americana che fu American Graffiti.
Lusso, capitale, mafia, sesso e persino l’Ivy League qui si sfiorano, si strusciano, si compenetrano ruvidamente, e le metafore visive non mancano. La scena dell’amore sull’ultimo metrò vira al soft core adolescenziale, con Phil Collins a creare un’isola di languore nella colonna sonora firmata Tangerine Dreams. Dunque gli anni Ottanta produssero con Risky Business un incubo che corrompeva e sbugiardava parecchi valori in voga, e il falso lieto fine ha un suo coerente cinismo. Ma c’era chi a quell’incubo seppe sopravvivere benissimo, come dimostrò la scena, quella sì memorabile, dove Tom Cruise in mutande celebra la partenza dei genitori con uno scatenamento rock in cui tutto, denti smaglianti, scriminatura del ciuffo, belle cosce nude, faceva capire che era nata una stella; e un notevole attore che, sapendo come fare invecchiare quel sorriso, avrebbe retto all’urto di parecchi decenni, doppi sogni e missioni impossibili.
Paola Cristalli