LA CASA DALLE FINESTRE CHE RIDONO
Sog.: Pupi Avati, Antonio Avati. Scen.: Pupi Avati, Antonio Avati, Gianni Cavina, Maurizio Costanzo. F.: Pasquale Rachini. M.: Giuseppe Baghdighian. Scgf.: Luciana Morosetti. Mus.: Amedeo Tommasi. Int.: Lino Capolicchio (Stefano), Francesca Marciano (Francesca), Gianni Cavina (Coppola), Giulio Pizzirani (Antonio Mazza), Eugene Walter (don Orsi), Ines Ciaschetti (maestra), Bob Tonelli (Solmi), Pietro Brambilla (Lidio), Ferdinando Orlandi (il maresciallo), Andrea Matteuzzi (Poppi). Prod.: Antonio Avati, Gianni Minervini per A.M.A. Film. DCP. Col
Scheda Film
Uno dei film di maggior successo in tutta la filmografia di Avati, uno di quelli che sconfiggerà il tempo e che conquisterà lo status di cult anche fuori dai confini nazionali e che entrerà nei volumi e nei saggi dedicati al cinema noir-giallo-gotico. […] L’idea affondava le radici in una delle storie che Pupi Avati bambino sentiva evocare davanti al fuoco del camino che gettava frammenti di luce sugli ambienti oscuri delle case di campagna percorse da scricchiolii e fantasmi: “Le favole contadine che ho messo in qualche mio film nascono da lì, dai racconti delle mie zie… la violenza, il sangue, l’amputazione degli arti, la morte, questo passare di qua e di là. La finzione pedagogica non era moraleggiante, era quella del deterrente puro, instillare la paura in noi bambini”. […]
In una guida dedicata al cinema di genere, La casa dalle finestre che ridono è un corpo estraneo difficilmente catalogabile per quel suo galleggiare tra giallo e noir con deviazioni verso l’horror. I codici che stabiliscono l’appartenenza a questi generi sono tutti ben schierati. Ombre, persiane che si chiudono, porte cigolanti, voci rantolanti che proferiscono terribili minacce al telefono, gatti che strillano, riprese in soggettiva. […] L’Avati touch si fa largo in altre zone a partire dalla scelta dei luoghi […]. Se il giallo italiano è sostanzialmente metropolitano, qui coraggiosamente – e probabilmente grazie alla totale indipendenza economica – si viene catapultati nel ventre profondo della provincia più dimenticata, provocando una sensazione di spaesamento e isolamento (accentuata dall’ambientazione nel passato, gli anni Cinquanta del Novecento). […] Il delta del Po, Comacchio, le campagne depresse al confine tra bolognese e ferrarese: vuoto e assenza di confini, dove il Po non è fiume maestoso ma un sistema venoso creatore di acquitrini malsani. Nella sua vastità il paesaggio riesce a essere claustrofobico, complice una luce malata che avvolge la scena.
Andrea Maioli, Pupi Avati. Sogni Incubi Visioni, Edizioni Cineteca di Bologna, Bologna 2019