CHRISTOPHER STRONG
Sog.: dal romanzo omonimo (1932) di Gilbert Frankau. Scen.: Zoë Akins. F.: Bert Glennon. M.: Arthur Roberts. Mus.: Roy Webb. Int.: Katharine Hepburn (Lady Cynthia Darrington), Colin Clive (Christopher Strong), Billie Burke (Elain Strong), Helen Chandler (Monica Strong Rawlinson), Ralph Forbes (Harry Rawlinson), Irene Browne (Carrie Valentine), Jack La Rue (Carlo), Desmond Roberts (Bryce Mercer). Prod.: David O. Selznick per RKO Radio Pictures. DCP. D.: 78’. Bn.
Scheda Film
Come spesso accade con Hepburn, ciò che all’epoca sembrava un po’ scandaloso o perfino irritante è diventato col tempo qualcosa di più interessante, di più eroico. Gran parte del merito va alla regista dichiaratamente lesbica Dorothy Arzner, prolifica figura attiva sia nel cinema muto che in quello sonoro nonché profetica smantellatrice del cosiddetto “film al femminile”. Nella sua opera emerge un’acuta consapevolezza dei conflitti che le donne dovevano affrontare sul luogo di lavoro (Dance, Girl, Dance) e nel matrimonio (Craig’s Wife). In questo film, basato su una sceneggiatura di Zoë Akins tratta da un romanzo del britannico Gilbert Frankau, la tensione tra amore e indipendenza tocca nettamente il suo apice drammatico. Una questione di vita o di morte: il volo è l’unica ragion d’essere per Lady Cynthia Darrington, celebre aviatrice e spirito libero. La donna disdegna ogni distrazione sentimentale finché un amore illecito – nelle sembianze di Colin Clive, uomo sposato e fedele – non la mette in crisi. Perfettamente consapevole che il coraggio di sfidare la morte dipende dalla libertà da ogni legame emotivo, lei gli fa giurare di non chiederle mai di rinunciare al volo. Ma poi… l’amore si rivela più forte e lui infrange la promessa, ponendo così fine a quel coraggio indomito e, inevitabilmente, segnando il suo destino. Hepburn dava spesso l’impressione che le regole non la riguardassero ed emanava un’aura di privilegio che poteva suscitare risentimento. Qui, tuttavia, la sua sfrontatezza è inestimabile, forse perché allora era ancora molto giovane. O forse perché Arzner, regista dall’energia mascolina che a volte metteva a disagio le donne, sapeva coglierle e ritrarle nel momento in cui erano più desiderabili. Qui Hepburn può attraversare una stanza con passo virile e carismatico e apparire qualche istante dopo in un costume da falena d’argento (firmato Walter Plunkett), un po’ scandaloso e di una femminilità abbagliante, che la fa apparire (come spesso accade nelle scene in cui si trova nella cabina di pilotaggio) ultraterrena, incandescente.
Molly Haskell