STAČKA

Sergej Ėjzenštejn

Sog., Scen.: collettivo del Proletkul’t (Valerian Pletnëv, Sergej Ėjzenštejn, Ilja Kravčunovskij, Grigorij Aleksandrov). F.: Ėduard Tissė, Vasilij Chvatov, Vladimir Popov. Scgf.: Vasilij Rachal’s. Int.: Ivan Kljukvin (attivista), Aleksandr Antonov (membro del comitato di sciopero), Michail Gomorov (operaio), Vera Janukova (moglie di un operaio), Vasilij Čaruev (direttore della fabbrica), Grigorij Aleksandrov (caporeparto), I. Ivanov (capo della polizia), Maksim Štrauch (spia), Boris Jurcev (‘re della teppaglia’), Judif’ Glizer (‘regina della teppaglia’). Prod.: Boris Michin per Goskino, Proletkul’t 35mm. L. 1937 m. D.: 94’ a 18 f/s. Bn

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T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

Tutto ciò che sembra un difetto nel primo anarchico film di Ėjzenštejn è in realtà un elemento cardine. Discon­tinuità; incongruenze; angolazioni vo­lutamente spiazzanti; l’inquadratura ribaltata di una pozzanghera – ogni bizzarria che osserviamo in Stačka non si trova lì per errore ma per scelta cal­colata. Quello di Ėjzenštejn è un film senza regole, e il regista dovette batter­si strenuamente per preservare questa anarchia.

L’operatore inizialmente assegnato al progetto – un professionista navi­gato specializzato in film di finzione – fuggì a gambe levate non appena scoprì il piano di Ėjzenštejn: girare in una vera fabbrica anziché in un teatro di posa, ignorando deliberatamente gli angoli di ripresa e gli schemi di luce convenzionali. Gli subentrò Ėduard Tissė, direttore della fotografia specia­lizzato in documentari, il quale, con grande gioia del regista, fece tutto nel modo sbagliato. Il Proletkul’t (abbre­viazione di Cultura Proletaria, orga­nismo fondato per coinvolgere i lavoratori nella produzione artistica), che coprodusse Stačka, rimase sgomento davanti all’apparente mancanza di una trama coerente: ci si aspettava che Ėjz­enštejn seguisse uno schema narrativo convenzionale (la saga di una famiglia operaia che si fortifica affrontando le avversità della lotta di classe, o qualco­sa di altrettanto edificante e noioso).

Come spiegò lo stesso Ėjzenštejn nel 1925: “Il vero conflitto riguardava il metodo: i capi del Proletkul’t non erano interessati agli esperimenti e osteggiavano ogni elemento di Stačka da loro giudicato eccentrico. Stačka è la mia vittoria sul piano della forma. Nell’arte rivoluzionaria le rivoluzioni formali contano più dei contenuti ri­voluzionari”. In altre parole, c’era del metodo nella sua follia: se gli scioperanti erano in conflitto con i loro pa­droni, perché Ėjzenštejn avrebbe do­vuto andare d’amore e d’accordo con i suoi?

Daria Khitrova e Yuri Tsivian

Copia proveniente da