Un’altra storia del cinema argentino

Ogni storia dell’arte presuppone una nuova luce più che un nuovo punto di vista. Questa storia ‘altra’ del cinema argentino non vuole presentare una volta ancora i film consacrati, di cui pure non contestiamo le qualità. Prisioneros de la tierra di Soffici o El romance del Aniceto y la Francisca di Favio non costituiscono più una scoperta.
La presente selezione vuole gettare una luce obliqua su alcune opere sconosciute al di fuori del loro paese di origine, a volte anche dai propri più pigri cronisti. Film marginali, se vogliamo, ma in cui si riflettono l’aria del tempo e le specificità dei singoli autori. Film che mai hanno aspirato a entrare nel pantheon nazionale ma che stimoleranno la curiosità del cinefilo più desideroso di avventurarsi sui sentieri meno battuti. Il folclore è assente da questa scelta, così come l’onnipotente politica. Come spesso accade, è proprio quando non si pretende di abbordare i Grandi Temi che questi spuntano con un’eloquenza che mette in luce l’immaginario di una società come l’Argentina, divisa fra velleità di cosmopolitismo e una certa fierezza del proprio isolamento. Il più recente dei film selezionati è del 1976, data funesta dell’inizio della dittatura civil-militare, affermatasi in un clima di anarchia sociale che perdurava ormai da parecchi anni. Sarà liquidata nel 1983 non tanto da un soprassalto di spirito democratico quanto dal disastro della ‘guerra delle Malvinas’ che le forze armate, facendo leva sui riflessi irrazionali del patriottismo, avevano creduto potesse legittimarli e al tempo stesso eternarli al potere.
Il cinema del ‘ritorno alla democrazia’ (che io preferisco chiamare ‘ritorno al regime elettorale’) si è rivelato sbiadito, sottomesso ai codici narrativi dei telefilm. Ci sono volute molte delusioni, innumerevoli conflitti sociali e politici perché una giovane generazione, e il ringiovanimento di un’altra meno giovane, potessero sfornare film liberi dai gravami imposti dall’industria, osando sfidare convenienze e calcoli. All’interno di una superproduzione spesso raffazzonata e talvolta balbettante, si può distinguere: una dozzina di cineasti senza nessun legame di gruppo o movimento sono riusciti a realizzare film un tempo inimmaginabili per il cinema argentino.
Ma questa sarebbe ancora un’‘altra storia’…

Edgardo Cozarinsky

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