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25/07
Cinema Lumière - Sala Officinema/Mastroianni > 21:15
LAUGHTER
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LAUGHTER
Scheda Film
Una ballerina (Nancy Carroll) sposa un magnate molto più anziano (Frank Morgan) ma non riesce a rompere con uno scultore ombroso e amareggiato (Glenn Anders, che forse proprio grazie a questo personaggio dalle tendenze suicide incoraggiò Orson Welles ad affidargli il ruolo del più divertente ma altrettanto raccapricciante Grisby in La signora di Shanghai) e un allegro pianista-compositore (un Fredric March più vitale che mai). Il fatto che non si riesca neanche a stabilire con certezza se Laughter abbia un lieto fine è probabilmente l’aspetto migliore del film, o almeno il più interessante.
È forse il film di Hollywood che più si avvicina alla ricercatezza e al narcisismo autocritico della prosa flapper di Francis Scott Fitzgerald, con tanto di triste ambivalenza nei confronti del lusso e dei lustrini. Girato negli Astoria Studios della Paramount appena pochi mesi dopo il crollo di Wall Street, il film precorreva nettamente i tempi, anticipando di svariati anni la screwball comedy, il marxismo di Donald Ogden Stewart e i dialoghi comici basati sull’inversione dei ruoli domestici. Farsa malinconica messa insieme da privilegiati gaudenti che sanno sovrapporre i doposbornia mattutini alle vertiginose serate di eccessi che li hanno prodotti, dà l’impressione di esprimere le sensibilità personali di almeno due dei tre autori accreditati della sceneggiatura originale candidata all’Oscar: il regista Harry d’Abbadie d’Arrast, Stewart e forse anche il meno noto Douglas Doty.
Ma che dire del probabile produttore del film, Herman Mankiewicz? Alcune fonti citano invece Monta Bell, perciò forse i due coprodussero, e magari Mank collaborò alla sceneggiatura (insieme a Carole Lombard, che a quanto si dice diede alcuni utili suggerimenti), ma chi lo sa, e a chi importa? In seguito Mankiewicz disse che questo film era il suo preferito tra quelli a cui aveva lavorato, dando la colpa del suo insuccesso commercia le alle deprimenti restrizioni imposte alla vacuità dello sfarzo – restrizioni che si ripropongono in Quarto potere. D’Arrast era un aristocratico che alla fine abbandonò il cinema per lavorare in un casinò francese; Mankiewicz e Stewart erano talenti dell’Algonquin, e condividevano una visione caustica dell’Art Deco, ma il primo finì sulla lista nera e dovette trasferirsi in In ghilterra, il secondo continuò a bere e visse tra una costa e l’altra degli Stati Uniti, guadagnandosi così il rispetto di Kael e dei Fincher.
Jonathan Rosenbaum
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Cast and Credits
Sog.: Harry d’Abbadie d’Arrast, Douglas Z. Doty. Scen.: Harry d’Abbadie d’Arrast, Douglas Z. Doty, Donald Ogden Stewart, Herman J. Mankiewicz. F.: George Folsey. M.: Helene Turner. Mus.: Vernon Duke. Int.: Nancy Carroll (Peggy Gibson), Fredric March (Paul Lockridge), Frank Morgan (C. Mortimer Gibson), Glenn Anders (Ralph Le Sainte), Diane Ellis (Marjorie Gibson), Leonard Carey (Benham), Ollie Burgoyne (Pearl). Prod.: Monta Bell, Herman J. Mankiewicz per Paramount Publix Corp. 35mm. Bn.
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