Nicole Vedrès. Quando il secolo prese forma

Programma a cura di Émilie Cauquy e Bernard Eisenschitz

 

Nicole Vedrès (1911-1965) fa parte di quella categoria di autori e saggisti che hanno considerato il cinema un moderno mezzo di testimonianza, in maniera diretta, tramite la riflessione, la metafora, il confronto e la forza dell’immagine. Un occhio affilato da una lucida visione dei fatti (vedi Esther Choub o L’uomo con la macchina da presa di Vertov), per dar vita a una forma di documentario didattico, a una “sintesi sconvolgente” (André Bazin a proposito di Dimanche à Pékin di Chris Marker), a una vera cineasta del nostro tempo. Secondo la quale l’intelligenza è il materiale di base del cinema. Un cinema che è solo una delle molteplici attività di Nicole Vedrès, e che tuttavia ha lasciato tracce ancora oggi riconoscibili in Marker e Resnais, autori che Nicole ha formato, e nella nozione di storia per immagini praticata da Godard o da Harun Farocki.
Il rapporto con il cinema di Nicole Vedrès non ha inizio con un film ma con un libro: Images du cinéma français, pubblicato da Maurice Girodias (futuro editore di Lolita), nel quale lei attinge ai tesori della Cinémathèque française per trovare il modo di presentare attraverso le immagini una versione inedita e iconoclasta della storia del cinema. La presenza di Henri Langlois è costante, ma è lecito pensare che Vedrès abbia esercitato a sua volta un’influenza decisiva anche sul fondatore della Cinémathèque, il quale, nella sua prima mostra itinerante, utilizza il titolo di Vedrès e i suoi principi di montaggio.
Il tutto appare già evidente nel primo film di Vedrès, il più celebre, Paris 1900, tour de force realizzato nel corso di tre anni di ricerche, di raccolta dei materiali, con un montaggio poetico: un potente esperimento per qualcosa che va al di là del sonoro e del testo scritto che solitamente parafrasano l’immagine. André Bazin non nasconde il suo stupore: “Come è possibile che il caso e il reale abbiano più talento di tutti i cineasti del mondo?”. E Vedrès, per parte sua, confonde le tracce quando, un anno dopo, nel 1953, dichiara: “Secondo me la storia è un campo che si può esplorare a fondo solo con l’immaginazione”.
Dopodiché, stanca del documentario, Vedrès vorrebbe passare alla fiction. Ma l’industria cinematografica non le fa nessuna proposta in tal senso, e si volge quindi alla scrittura. Diventa una pioniera della televisione e uno dei ‘volti preferiti dai francesi’, in virtù di un carisma che li conquista: senza gobbo, occhio divertito e tono seducente, Vedrès fa venire voglia di fermare tutto e di leggere Joyce.
Forse è proprio Alain Resnais a custodire il segreto di Nicole Vedrès. Al momento dell’uscita di Parole, parole, parole… il regista evoca un particolare: “Mi è tornata alla mente l’idea di Nicole Vedrès, di cui sono stato assistente nel 1947 per Paris 1900, secondo la quale è la canzonetta a parlare con maggiore esattezza dei sentimenti umani. In Piaf o Trenet i sentimenti sono a volte descritti con una precisione ben superiore a quella di un romanzo anche sottile e di buon gusto”.

Émilie Cauquy e Bernard Eisenschitz