09/04/2020

Il Cinema Ritrovato | Fuori Sala #5

“Nella bella stagione il pesce spada viene a deporre le uova 
nelle tiepide acque che separano la Sicilia dalla Calabria.
Qui l’uomo lo attende per ucciderlo. È una pesca antichissima,
le cui origini si perdono nel buio dei tempi.
Di esse cantano gli uomini nella lunga attesa”.

 

Quinta puntata della rubrica online “Il Cinema Ritrovato | Fuori Sala“, alla scoperta di piccole perle di cinema conservate nei nostri archivi (guarda gli episodi precedenti).

È un sud lontano nel tempo quello protagonista di questo nuovo appuntamento: ci troviamo in Sicilia, per la precisione sullo stretto di Messina. Lu tempu di li pisci spata (1954) è il primo dei dieci straordinari documentari realizzati dal palermitano Vittorio De Seta, “un etnografo con lo sguardo del poeta”, nelle parole di Martin Scorsese.
De Seta racconta un mondo arcaico cristallizzato nel tempo, un’Italia del lavoro, intrisa di mare, terra e musica, che rischia di essere schiacciata dal fagocitante boom economico del periodo a cavallo tra gli anni ’50 e ’60.
Proponiamo la visione del restauro del corto, in 4K da copia 35mm, realizzato nel 2019 da Cineteca di Bologna e The Film Foundation presso il laboratorio L’Immagine Ritrovata.

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Guarda l’introduzione e il film cliccando sull’immagine:

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Vittorio De Seta entra nel cinema appena varcati i trent’anni, e fa una rivoluzione che ancora oggi ci  lascia stupefatti. Dal niente. E con poco più di niente, apparentemente: due soldi da investire, un’attrezzatura e una troupe ridotte all’osso, prospettive di distribuzione molto aleatorie… In realtà, ha tutto quello che gli serve: un’Italia del Sud traboccante di cultura e tradizione mai toccata dal cinema, una curiosità che pare atavica, un talento enorme. I dieci cortometraggi che De Seta realizza dal 1954 al 1959 tra Sicilia, Sardegna e Calabria sono una specie di miracolo inspiegabile. Oggi il mondo li considera pietre miliari, ed è giusto così. Nella sua carriera successiva, De Seta saprà confermarsi autore di prima grandezza, alla costante ricerca di nuovi approcci e nuove prospettive, al cinema come in televisione (il suo Diario di un maestro per la RAI è ancora un’opera imperdibile).

La Cineteca di Bologna ha restaurato per la prima volta i documentari di De Seta una quindicina di anni fa, in pellicola 35mm. Il regista, con l’energia che l’ha sempre contraddistinto, decise di approfittarne per apportare lievi modifiche e metterli in fila come se si trattasse di un solo lungometraggio, dal titolo impeccabile Il mondo perduto. L’anno scorso, grazie alla partecipazione della Film Foundation di Martin Scorsese (suo grande estimatore) abbiamo portato a termine un nuovo restauro, stavolta in digitale. 

Nel lotto di questi film, senza voler avventurarsi in classifiche personali, Lu tempu di li pisci spata è uno dei più coinvolgenti, almeno a parer mio. La forza plastica delle inquadrature, la padronanza del ritmo, la sceneggiatura scritta coi canti e coi rumori: De Seta pensa e realizza un grande cinema non per sfizio di magnificenza, ma perché l’argomento lo impone. Ci parla di cose che affondano nella notte di tempi, di un rapporto tra uomini e mondo che ha radici profondissime. Dopo la pesca, i piccoli e i grandi si riuniscono alla luce della lampara per ballare, cantare, battere le mani, suonare la chitarra: una festa collettiva alimentata da una forza solidale che nella nostra Pasqua stentiamo a ritrovare. Alla fine, un bambino corre verso riva per guardare una barca che riprende il mare, come se là ci fosse il suo futuro, iscritto in una sorta di ciclo eterno. Non sa ancora che il progresso, qualsiasi aggettivo vogliamo attribuirgli, quel mondo lo metterà irreparabilmente a soqquadro. Sarà uno spunto che approfondiremo nel nostro prossimo appuntamento (Andrea Meneghelli).

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Rubrica a cura del direttore della Cineteca Gian Luca Farinelli e del responsabile dell’Archivio Pellicole Andrea Meneghelli.