30/06/2016

Il Cinema Ritrovato Book Fair: Intervista a Philippe Morisson su Marcel Carné

Philippe Morisson, collezionista ed esperto di cinema francese, presenta il volume “Marcel Carné, Ciné-Reporter (1929-1934)”, in vendita alla Mostra Mercato dell’editoria cinematografica in occasione del festival Il Cinema Ritrovato

Marcel Carné non è stato solo un regista ma anche un grande critico cinematografico. È precisamente il suo lavoro come cine-reporter che è raccolto nel libro “Marcel Carné” pubblicato da La Tour Verte, un percorso attraverso i suoi articoli scritti tra il 1929 e il 1934. Come sono stati selezionati gli articoli e in che modo ha effettuato la ricerca?

Come ha sottolineato, Marcel Carné prima di diventare il regista che conosciamo è stato critico cinematografico per cinque anni. La maggior parte dei biografi e ricercatori che hanno lavorato precedentemente sulla sua carriera non insiste abbastanza sull’importanza di questi cinque anni nella formazione e concretizzazione della cinefilia di Marcel Carné. Bisogna dire che lui stesso minimizza questo periodo e che in più confonde le piste non menzionando tutte le riviste alle quali ha collaborato (Le Film Sonore) ed inventando una collaborazione che non è mai avvenuta (Cinégraphie).
Riunire questi testi ha richiesto un lungo lavoro di ricerca presso diverse istituzioni, come ovviamente la Cinémathèque française, che mi ha aiutato molto, ma anche la Cinémathèque de Toulouse, la Fondation Jérôme Seydoux Pathé e la Bibliothèque Nationale a Parigi. Purtroppo mancano ancora alcuni articoli comparsi sulla rivista corporativa Le Film Sonore nel 1932 che non mi è stato possibile localizzare.
Essendo io stesso un collezionista di tutto ciò che tocca la carriera di Marcel Carné, possedevo già molti di questi articoli, pertanto ero consapevole e convinto dell’importanza di pubblicarli, per due motivi in particolare. Il primo, per il loro precedere ed annunciare la futura carriera del regista di Les Enfants du Paradis. Il secondo, perché danno informazioni su questo periodo fondamentale del passaggio da Muto a Sonoro, visto attraverso lo sguardo di un fervente cinefilo quale era Marcel Carné, che nel 1929 aveva 23 anni, di cui una dozzina abbondante di anni passati tra una sala cinematografica parigina e l’altra. Vale a dire che usciva dall’adolescenza nel momento stesso in cui scopriva a poco a poco tutte queste grandi opere del Muto che sono dei classici dei giorni nostri, da cui il suo entusiasmo evidentemente.

Quale percorso viene idealmente tracciato alla scoperta di questo autore e come si sviluppano i vari capitoli?
Davanti alla quantità e alla qualità di scritti del critico Marcel Carné, insieme al mio editore Robert de Laroche, abbiamo deciso di pubblicarli in due volumi. Così in questo primo volume il lettore troverà raggruppati tutti i suoi articoli più generosi sul cinema, nei quali Carné evoca sia la commedia americana che i film polizieschi e i documentari come Moana. Ovviamente vi ritroviamo uno dei suoi primi articoli sull’importanza della camera in quanto “personaggio del dramma”, così come uno dei suoi ultimi scritti, nel quale sintetizza tutto quello che gli importa del cinema: Quand le cinéma descendra-t-il dans la rue ? non è un appello all’abbandono degli studios che prefigura il neo-realismo, ma piuttosto un appello in favore dei film “che descrivono la vita semplice delle piccole genti”, del mostrare il viso di una Parigi umanista e citare Mac Orlan (di cui adatterà Le Quai des brumes), Eugène Dabit (di cui adatterà Hôtel du Nord) e fotografi tra cui Brassaï e Man Ray. Ma Carné scriverà ugualmente della querelle, all’epoca timida, tra il teatro e il cinema sonoro. Gli ammiratori di Les Enfants du Paradis apprezzeranno uno scambio nel quale Marcel Carné parla della pantomima con un altro giornalista. Scriverà anche del film sonoro e della crisi che quest’ultimo va generando in Francia, poiché è tutta un’industria che ha dovuto adattarsi molto velocemente a questa rivoluzione. Si mostrerà, nonostante la sua giovane età, molto virulento verso la censura, che colpisce un buon numero di film e soprattutto film sovietici, di cui è un grande ammiratore.
Un altro capitolo è dedicato ai bilanci di fine anno nel quale Carné prende come esempio The Crowd di King Vidor o White Shadows di Van Dykes e Jujiro di Teinosuke Kinshasa. Evoca inoltre molto bene l’atmosfera delle sale cinematografiche a Parigi, che siano sale di quartieri popolari o sale specializzate (i primi cine-club che ha frequentato ampiamente come possiamo immaginare). Consacro ugualmente un capitolo ad una serie di articoli che ho scoperto, in cui Carné si fa satirista nei confronti dell’ambiente del cinema, fino a scrivere un intero articolo alquanto esilarante in argot. Questi articoli ci permettono di comprendere meglio quello che gli è potuto piacere di Jacques Prévert.
Infine ho riunito tutti gli articoli che ha dedicato al suo mentore Jacques Feyder (di cui fu assistente per quattro dei suoi film tra cui La Kermesse Héroïque) e a sua moglie Françoise Rosay (che farà lavorare nel suo primo film Jenny e in Drôle de drame). Perché sono loro che per primi hanno creduto in lui e che gli hanno permesso di iniziare la sua carriera.

Marcel Carné era soprattutto un cinefilo. Ci sono degli eventi nella vita di Carné che hanno influenzato in particolar modo il suo amore per il cinema?

Come dicevo, Marcel Carné ha scoperto il cinema man mano che diventava un’arte. In appendice ho inserito un articolo che ha scritto nel 1940 nel quale ricorda che la sua “cotta adolescenziale” per il cinema era nata alla visione di I misteri di New York (The Exploits of Elaine) con Pearl White, nel cinema del suo quartiere. Aveva circa dieci anni e tra l’altro sottolinea che in quel momento il cinema raggiungeva la maggiore età (21 anni in France all’epoca). A partire da quel momento, racconta, non si sono più lasciati. Sono quindi soprattutto i grandi film muti a segnare profondamente Marcel Carné. In questi articoli vediamo quanto è stata importante per lui la visione di film come The Outlaw and his wife di Victor Sjostrom, La rosa sulle rotaie (La Roue) di Abel Gance, L’ultima risata (Der letzte Mann) di F.W Murnau, I dannati dell’oceano (Docks of New York) di Joseph von Sternberg, Primo amore (Lonesome) di Paul Fejos e ovviamente i film di King Vidor, René Clair, Fritz Lang e Charlie Chaplin, di cui amava in particolar modo La donna di Parigi (Woman of Paris).
Se Marcel Carné è diventato un cinefilo è anche perché negli anni Venti c’è stata a Parigi una nascita di sale cinematografiche “specializzate”, come Le Vieux Colombier o Les Ursulines. È in queste sale che sono nati i primi cine-club, con gli appassionati dibattiti che seguono ciascuna proiezione. Ne presenterà qualcuno lui stesso all’inizio degli anni Trenta. Scriverà così: “La visione quotidiana dei più bei film dell’epoca, la sentita esaltazione alle manifestazioni di questa nuova arte che era allora il cinema, agivano su di me come rivelazioni; trascorrerò la mia vita nel cinema, era questa la mia vocazione, per così tanto tempo dissimulata nel più profondo di me stesso.”
Tuttavia l’evento decisivo per la sua carriera è stato l’incontro nel 1925 con Jacques Feyder, di cui adorava film come Crainquebille e Thérèse Raquin. Feyder, nonostante qualche reticenza legata alla giovane età di Carné e alla sua piccola taglia, accettò di testarlo come assistente nel suo film Les Nouveaux Messieurs a fianco del capo operatore Georges Périnal. Il primo giorno di riprese è stato il 3 luglio 1928 e Marcel Carné lo ricorderà come “il giorno più esaltante” della sua vita, quello in cui è stato “felice nel modo più completo.”

Quest’anno in occasione del festival Il Cinema Ritrovato è stata inaugurata la mostra Lumière! L’invenzione del cinematografo, dedicata appunto ai fratelli Lumière, che riflette al tempo stesso sulle origini e sul futuro del cinema. Che cosa pensava Marcel Carné del cinema e del suo avvenire all’inizio del XX secolo?

Marcel Carné faceva parte di questa prima generazione di cineasti cinefili. Per lui il cinema era una religione, nient’altro aveva importanza. Questi scritti, testimonianza del passaggio dal Muto al Sonoro, fanno ugualmente eco del posto sempre più grande che il cinema prende nella società. Così un articolo di marzo 1931, Puissance du cinéma, è interessante perché ci mostra che questa arte “giovane” aveva la capacità di sintetizzare tutte le arti. Carné cita diversi esempi che mostrano l’influenza del cinema sulla pittura, l’architettura, il disegno, il teatro, il romanzo, la musica. Scrive: “Il cinema, ai giorni nostri, è dappertutto e sopra a tutto.” Eppure comprende presto che il cinema è allo stesso tempo un’industria. Così non finirà mai di sollevarsi vigorosamente contro la mediocrità, la bassezza di una gran parte di film francesi degli inizi del Sonoro, contro quelli che fanno commercio di questa arte che lui considerava la più alta di tutte, senza rendersi conto che “l’avvenire appartiene ai creatori”, come scriverà. È d’altra parte rivelatore osservare il rapporto tra i giovani turchi della Nouvelle Vague come Truffaut e il giovane Carné dall’alto dei suoi 23 anni, ognuno di loro criticando il cinema francese del proprio tempo e difendendo ad esempio il cinema americano.
L’avvenire del cinema all’inizio del XX secolo? In quegli anni Carné sperava certamente che il cinema conservasse la propria aura. Ma a partire da settembre 1930 percepisce i problemi a venire, queste “oscure minacce”, scrive, che sono “lo spessore, il colore e la grandezza del film” (si riferisce all’Hypergonar, precursore del Cinémascope), pensando alle spese considerevoli che questi non avrebbero mancato di causare ad un’industria che non ha ancora terminato la trasformazione da Muto a Sonoro. Soprattutto ha questo presentimento riguardo alla televisione e scrive queste righe (nel 1930 !): “E la televisione non porterà, anch’essa, a breve un profondo sconvolgimento nella gestione del cinema?”
Per concludere, senza dubbio Marcel Carné si sarebbe appassionato nel vedere un festival come Il Cinema Ritrovato continuare a difendere e a mostrare queste grandi opere del passato, lui che insisteva in un articolo del 1930 intitolato À la recherche des films perdus sull’importanza delle riprese, il cui scopo principale “non è forse permetterci, attraverso una selezione rigorosa, di distinguere ciò che è cinematografico da ciò che non lo è?”