The Last Flight

William Dieterle

Sog.: Dal Romanzo “Single Lady” Di John Monk Saunders; Scen.: John Monk Saunders, Byron Morgan; F.: Sidney Hickox; Mo.: Alexander Hall; Scgf.: Jack Okey; Co.: Earl Luick; Mu.: David Mendoza; Int.: Richard Barthelmess (Cary Lockwood), David Manners (Shep Lambert), Johnny Mack Brown (Bill Talbot), Helen Chandler (Nikki), Elliot Nugent (Francis), Walter Byron (Frink); Prod.: First National Pictures / The Vitaphone Corporation; Pri. Pro.: New York, 19 Agosto 1931; 35mm. D.: 76′. Bn.

 

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T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

The Last Flight è la prima regia di William Dieterle e forse anche la più grande regia hollywoodiana (compete con All That Money Can Buy e Portrait of Jennie): è un’opera molto originale e allo stesso tempo magnifica ancor prima che la Warner Bros. dettasse lo stile e la “filosofia di vita” dell’“età d’oro” degli anni successivi. La storia sui piloti americani, che tornano dalla guerra vivi sì, ma psicologicamen­te distrutti, e cercano di adattarsi alla vita nell’Europa del dopoguer­ra, prima a Parigi e poi in Portogallo, è forse familiare allo spettato­re. Riconosciamo quelle illusioni spezzate piuttosto dalla letteratura, dai racconti e dai romanzi di Hemingway e Fitzgerald. In questo ambito e in questa realtà – “della generazione perduta” – The Last Flight ne è forse la rappresentazione cinematografica per eccellen­za. Narra di uomini che un poco alla volta comprendono che il loro addestramento ed esperienza bellica continuano a determinare le loro vite. E che tutto – forse anche l’amore – è solo una lenta prepa­razione alla morte.

A poco a poco, essi si rendono conto di non essere eroi ma derelitti che non riuscirebbero a far volare nemmeno un aquilone. La “Parigi folle” degli anni ’20 forma uno sfondo persino esagerato all’intuizio­ne drammatica sugli effetti permanenti della guerra. Si danno alla vita mondana, come potrebbe succedere nei film di Raoul Walsh, però la differenza sta nelle sfumature di Dieterle caratterizzate da un umanesimo profondo e responsabile, ma mai eccessivamente serio: vale la pena di essere in lutto per la perdita di queste persone. Il lungometraggio, prodotto agli inizi dell’epoca del cinema sonoro, contie­ne nei suoi passaggi migliori delle sintesi assai abili, paragonabili ai film muti, che esprimono efficacemente attraverso la pantomima la tristezza, la pietà e la contraddittorietà degli esseri umani (le pistole giocattolo nel luna park) in una situazione in cui l’ombra della guer­ra segue l’uomo ovunque perché è già dentro di lui, come una con­dizione permanente.

Peter von Bagh

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