TENNESSEE’S PARTNER

Allan Dwan

T. it.: La jungla dei temerari. Sog.: dal racconto omonimo di Bret Harte. Scen.: Milton Krims, D.D. Beauchamp, Graham Baker, Teddy Sherman. F.: John Alton. M.: James Leicester. Scgf.: Van Nest Polglase. Mus.: Louis Forbes. Int.: John Payne (Tennessee), Ronald Reagan (Cowpoke), Rhonda Fleming (Elizabeth ‘Duchess’ Farnham), Coleen Gray (Goldie Slater), Tony Caruso (Turner), Morris Ankrum (il giudice), Leo Gordon (lo sceri o), Chubby Johnson (Grubstake McNiven), Joe Devlin (Prendergast), Myron Healey (Reynolds), John Mansfield (Cli ord), Angie Dickinson (Abby Dean). Prod.: Benedict Bogeaus per Filmcrest Productions Inc. Pri. pro.: 21 settembre 1955 35mm. D.: 87’. Col. 

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T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

“Gli amici mi chiamano Cowpoke”, “Io mi chiamo Tennessee, e non ho amici”. Due battute in perfetta forma di chiasmo, e l’avventura può incominciare. Il fatto che a pronunciarle siano attori liberi dal carisma dei divi (Ronald Reagan, John Payne) aggiunge il tocco benefico dell’understatement, accentua il pudore dell’amicizia che si stringe. Dwan, magari, non la pensava così: alla domanda di Bogdanovich, che gli chiede se nel ruolo di Tennessee avrebbe preferito John Wayne, risponde stupito: “Certo che avrei preferito John Wayne. Chiunque lo avrebbe preferito”.

Eppure l’approdo postbellico di Dwan alla Poverty Row inaugura, come gli storici riconoscono, la stagione aurea della sua carriera. L’economia forzata non lo spaventa, anzi affina i mezzi, scontorna i sentimenti. Tennessee’s Partner non si concede sortite nei grandi spazi, lo splendore naturale che sarà di The Cattle Queen of Montana. Questo western è, come tanti in questi anni, un voyage autour de mon set, ma lo è con affettuosa accuratezza ‘culturale’ e vivido uso dell’ironia. Il set si compone dei pezzi basic del repertorio, saloon, verande, ufficio dello sceriffo; ma è una bella, beffarda invenzione questo pensionato-bordello che si chiama The Marriage Market, retto con etica del mestiere e solido senso degli affari dalla ‘Duchessa’ Rhonda Fleming, “bellezza fulva e madida, occhi azzurri, criniera rossa, petto caldo” (Roger Tailleur). Che cos’è in fondo il matrimonio, in questa fine Ottocento, nelle lande remote del wild west come nelle capitali borghesi sulle due coste dell’Atlantico, se non un mercato? Qui, almeno, c’è un’insegna dipinta a mano a far piazza pulita dell’ipocrisia. Il pensionato della Duchessa, dove biondine delicate offrono caviale e ciambelle ai clienti, trabocca di fiori: e così, mentre il western imbocca il viale del tramonto, la dialettica fondativa del suo mito, l’opposizione tra Deserto e Giardino, può rifugiarsi anche tra gli iris che profumano il boudoir d’una maîtresse – per quanto, probabilmente, la più memorabile maîtresse prima della Mrs. Miller di Altman…

Intorno c’è la corsa all’oro, che innesca la sua spirale di cupidigia e vigliaccherie, ma molto è fuoricampo: come sempre, “il male è presente nelle storie di Dwan, ma non riceve più spazio di quanto meriti” (Michael Henry Wilson). Così, ci informa Lourcelles, anche il ‘manicheismo’ del romanzo di Bret Harte, che contrapponeva l’innocenza del ragazzo della prateria al cinismo del gambler, sfuma in un chiaroscuro drammatico, e ambiguo malgré soi: sarà proprio la segreta lealtà di Tennessee, deciso ad evitare ad ogni costo che l’amico sposi una piccola goldigger dal viso a punta, a condurre Cowpoke al suo tragico destino – tutto questo sotto quell’apparente semplicità che dà a Tennessee’s Partner, a tratti, quasi un’aria da film per ragazzi, dove la colonna sonora commenta ogni pugno sferrato con un colpo sordo di tamburo.

Dwan nutriva “un’antipatia viscerale per la disperazione” (Lourcelles), Dwan detestava gli unhappy endings. L’ultima immagine è il bacio d’una donna che da sempre vuol essere baciata come una casta sposa ma, al dunque, il sangue le ribolle e bacia come sa e deve un’amante. Prima però ci siamo ritrovati intorno alla tomba d’un giovane innocente, e con emozione e sorpresa abbiamo sentito mormorare queste parole: “Non sapevo nemmeno il suo nome”. Un western del 1955, così a lungo perso nel purgatorio dei secondi ranghi, si chiude come si chiuderanno, con parole amplificate dall’ipersensibilità del cinema moderno, un film come Il sorpasso, o come Ultimo tango a Parigi – e in fondo non meno di loro, nel suo orizzonte e nel suo nobile genere, Tennessee’s Partner è un’avventura dell’identità e della solitudine.

Paola Cristalli

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