LEAVE HER TO HEAVEN

John M. Stahl

Sog.: dal romanzo omonimo di Ben Ames Williams. Scen.: Jo Swerling. F.: Leon Shamroy. M.: James B. Clark. Scgf.: Maurice Ransford, Lyle R. Wheeler. Mus.: Alfred Newman. Int.: Gene Tierney (Ellen Berent Harland), Cornel Wilde (Richard Harland), Jeanne Crain (Ruth Berent), Vincent Price (Russell Quinton), Mary Philips (signora Berent), Ray Collins (Glen Robie), Gene Lockhart (dottor Saunders), Reed Hadley (dottor Mason). Prod.: 20th Century Fox. 35mm. D.: 110’. Col.

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T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

Gene Tierney è Ellen, ereditiera che sposa il romanziere Richard Harland (Cornel Wilde) attratta dalla sua somiglianza con il padre scomparso. Poco dopo il matrimonio, nell’atmosfera idilliaca di Bass Lake, in California, l’ossessione di Ellen per Richard prende una brutta piega, trasformandosi rapidamente in una forza distruttiva. Archetipica femme fatale del cinema noir, la possessiva Ellen lascia dietro di sé una scia di morte. Se l’amore nei film di Stahl era sempre stato un sentimento delicato e a lenta combustione, il suo primo film a colori illustra una passione insieme febbrile e contorta. Nella Hollywood degli anni Quaranta, sotto l’influsso di Freud, l’amour fou conduce alla follia e financo all’omicidio. Malgrado questo mondo sia lontano dagli spazi solitamente sobri e controllati di Stahl, il regista lo abbraccia con convinzione gestendo sapientemente il cambiamento di tono.

Se Leave Her to Heaven è uno dei film più celebri di Stahl lo si deve anche alla fotografia in Technicolor di Leon Shamroy, che emula i grandi maestri della pittura europea come van Dyck e Rembrandt. Shamroy sfidò le linee guida della Technicolor (e la sua rappresentante Natalie Kalmus) ignorando le aspirazioni realistiche a favore di “errori consapevoli” dai quali il film trae enormi benefici. La transizione dall’inquadratura iniziale, con la sua visione idilliaca della natura, a toni più cupi (terra d’ombra bruciata e seppia) è assolutamente magistrale. Perfino la composizione cromatica della casa sul lago cambia progressivamente, mentre Stahl perfeziona alcuni elementi spaziali ricorrenti nella sua opera come l’impiego delle scale quale luogo di pericolo e manipolazione, già visto in Our Wife (1941).

Il tema del sacrificio personale per amore che caratterizzava i precedenti film di Stahl trova qui il suo contrappunto ironico. E l’ironia e il rovesciamento si spingono anche oltre: un film così audacemente ricco di colori narra la storia di uno scrittore daltonico che sognava di diventare un pittore post-impressionista. Harland è cieco ai colori minacciosi di questo mondo quanto lo è alla malvagità della donna che ha sposato.

Ehsan Khoshbakht

Copia proveniente da

Per concessione di Park Circus. Stampa Technicolor ottenuta per imbibizione