LA GRANDE BOUFFE

Marco Ferreri

Sog.: Marco Ferreri. Scen.: Marco Ferreri, Rafael Azcona. F.: Mario Vulpiani. M.: Amedeo Salfa, Claudine Merlin, Gina Pignier. Scgf.: Michel de Broin. Mus.: Philippe Sarde. Int.: Marcello Mastroianni (Marcello), Ugo Tognazzi (Ugo Baldazzi), Michel Piccoli (Michel), Philippe Noiret (Philippe), Andréa Ferréol (Andréa), Monique Chaumette (Madelaine), Florence Giorgetti (Anne), Rita Scherrer (Anulka), Solange Blondeau (Danielle), Michèle Alexandre (Nicole), Cordelia Piccoli (Barbara). Prod.: Edmondo Amati, Jean-Pierre Rassam, Vincent Malle, Alain Coiffier per Capitolina Produzioni Cinematografiche, Mara Films, Film 66. DCP 4K. Col.

info_outline
T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

Questi quattro enigmatici ritratti di quattro persone medie della buona borghesia degli anni Settanta (un alto magistrato e un coreografo francesi, un pilota e un proprietario di ristoranti italiani) sono stupendi. Lo scarlatto e il sanguigno degli ‘interni’ francesi, e il profondo, cimmerio azzurro-grigio degli esterni – dove l’agio si confonde con una tristezza infinita, e la ricchezza tradizionale ha il colore del piombo – si addensano intorno alla carne insana dei personaggi, definendone un’indecifrabile decisione interiore. Tutto il passato vi è sintetizzato (nel cinema il colore di una parete, il luccichio di un coltello, il disegno dell’ala di un aeroplano immobile, possono avere, in un solo inarticolato ‘segno’ espressivo, tutta la complessità di una frase proustiana); il presente vi è analizzato in una serie di gesti che hanno una strana determinazione, quasi invasata, nella sua calma aprioristica ‘alla De Sade’: ma niente più.
È così – colti in questi loro gesti quotidiani per una partenza verso il week-end, resi enigmatici dalla loro eccessività – che questi personaggi ci restano nel cuore: quasi sacerdoti ironici di un rito (che nascondono dietro una smorfia di umorismo e di grave corporeità non priva di volgarità borghese, un loro oscuro fanatismo, chissà attraverso quali strade acquisito e fissato per sempre).
Questa ritualità – in cui la vita quotidiana, realistica e quindi comica – trova una ambigua forma di sublimità – riapparirà solo saltuariamente, poi, nel corso del vero e proprio racconto: specialmente, com’è giusto, nei momenti culinari ‘pantagruelici’ (ma sempre ‘ridotti’ dall’apriorismo alla De Sade, che dà alla loro eccezionalità, una ‘naturalezza’ per così dire illuministica, mostruosamente razionale, tendente a minimizzare il ‘mistero’).
I nostri quattro protagonisti dei ritratti del proemio hanno infatti deciso di uccidersi attraverso un’ingestione smisurata di pietanze raffinate. Dunque era in questo che consisteva l’enigmaticità della loro rappresentazione in un loro iniziale momento di vita quotidiana puramente esistenziale. Era in questo che consisteva il nucleo o principio narrativo del film.

Pier Paolo Pasolini, Le ambigue forme della ritualità narrativa, “Cinema Nuovo”, n. 231, settembre-ottobre 1974

 

L’approfondimento su Cinefilia Ritrovata

Copia proveniente da