DER GROßE MANDARIN

Karl Heinz Stroux

Scen.: Karl Heinz Stroux. F.: Werner Krien. M.: Erwin Niecke. Scgf.: Paul Markwitz, Herta Böhm. Mus.: Hans-Otto Borgmann. Int.: Paul Wegener (il Mandarino), Käthe Haack (la madre), Christiane Felsmann (la figlia), Carsta Löck (la scrittrice), Hubert von Meyerinck (il funzionario cinese). Prod.: Georg Fiebiger per Nova-Film GmbH. 35mm. D.: 102’. Bn.

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T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

Altro splendido e glorioso tentativo di metafilm, così bizzarro da far sembrare Film ohne Titel quasi semplice e lineare! Ambientato in parte nel presente postbellico e in parte in uno strano mondo di fantasia che è metà Impero guglielmino e metà una Cina fantasticata sotto l’influsso dell’oppio (con tanto di tedeschi con il codino e cappelli di paglia a tesa larga), il capolavoro di Stroux affronta tre pressanti tematiche dell’epoca: il mercato nero, il timore di lasciarsi nuovamente ingannare da promesse totalitarie e le relazioni tra i sessi. Queste ultime, viste con gli occhi di oggi, sono forse l’aspetto più interessante, giacché l’emancipazione diventa fondamentale per l’assunto antitotalitaristico di Der große Mandarin: per neutralizzare le minacce dittatoriali devono comandare le donne come gli uomini, e alla pari. Fu subito chiaro a tutti che Der große Mandarin avrebbe lasciato interdetti gli spettatori, e infatti il film inizia avvisando gentilmente il pubblico che la faccenda potrebbe farsi qua e là complessa e che ci vorrà un po’ di pazienza. Il tutto elegantemente mascherato da omaggio allo spirito di Paul Wegener, morto poco dopo la fine delle riprese. Viene da chiedersi come mai la storia del cinema tedesco non abbia mai veramente accolto Der große Mandarin e altre tre fantasie d’impronta sperimentale uscite più o meno nello stesso periodo: la satira dai toni cabarettistici di Helmut Käutner Der Apfel ist ab (La mela è caduta, 1948), la commedia fantascientifica Der Herr vom andern Stern (1948) di Heinz Hilpert e l’esempio di ‘Heimat horror’ Die seltsame Geschichte des Brandner Kasper (1949) di Josef von Báky. O come mai le allegorie di vario tipo, come il musical di Paul Martin ambientato nell’antica Grecia Die Frauen des Herrn S. (Due mogli per ogni uomo, 1951), non se la passarono meglio presso i critici della giovane Repubblica federale. Va inoltre ricordato che Der große Mandarin non è l’unica opera orientaleggiante di quegli anni: Der verlorene Gesicht (1948), film tutt’altro che canonico di Kurt Hoffmann, si incentra su una strana donna che parla una sorta di tibetano, mentre Bettina Moissi in Epilog – Das Geheimnis der Orplid (1950) di Käutner interpreta una pittrice malese. Il realismo delle macerie era un rifugio dalle molteplici possibilità rappresentate dalle fantasticherie e dalle storie narrate al congiuntivo? I tedeschi hanno forse paura dei sogni?

Olaf Möller

Copia proveniente da

per concessione di Schorcht International Filmproduktion und Filmvertriebs, Munich