DE MAN DIE ZIJN HAAR KORT LIET KNIPPEN

André Delvaux

T. fr.: L’Homme au crâne rasé. Sog.: dal romanzo omonimo (1947) di Johan Daisne. Scen.: André Delvaux, Anna de Pagter. F.: Ghislain Cloquet. M.: Suzanne Baron. Mus.: Frédéric Devreese. Scgf.: Jean-Claude Maes. Int.: Senne Rouffaer (Govert Miereveld), Beata Tyszkiewicz (Eufrazia ‘Fran’ Veerman), Hector Camerlynck (professor Mato), Hilde Uitterlinden (Beps), Annemarie Van Dijk (Corra), Hilda Van Roose (signorina Freken), François Beukelaers (il paziente), Arlette Emmery. Prod.: Paul Louyet, Jos Op De Beeck per Belgische Radio en Televisie (BRT), Ministerie van Nationale Opvoeding en Kultuur. DCP. Bn.

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T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

Come in uno di quei polittici che sapevano dare al quadro una dimensione temporale e nei quali ogni sezione intratteneva con le altre un sapiente gioco di riferimenti incrociati e di riflessi, ci troviamo qui di fronte a un’architettura complessa in cui ogni elemento sostiene gli altri e poggia su di essi. La giovane Eufrazia Veenman, che il protagonista, l’avvocato Govert Miereveld, ama di un amore impossibile con il nome di Fran, appare per esempio solo nella prima e nella terza sequenza centrale, che incorniciano quella dell’autopsia di uno sconosciuto alla quale Govert, già malato, è suo malgrado costretto ad assistere. La rappresentazione della morte segue quella della bellezza (la visione di Fran che canta), e precede la morte della bellezza, quando Govert, sentendo che l’oggetto della sua passione è inaccessibile e allo stesso tempo degradato, decide di uccidere la giovane. […] La grande forza di De man die zijn haar kort liet knippen sta nel riprodurre oggettivamente un’esperienza interiore, nel mostrarci al contempo il mondo con gli occhi di Govert e Govert stesso […]. Delvaux è a sua volta partecipe della conquista di una nuova dimensione, quella di un realismo interiorizzato (l’anti-Marienbad), dove potrebbero fondersi due correnti del cinema. […] Di un’opera simile possiamo dire che sotto l’aspetto realistico è profondamente romantica, che ogni dettaglio richiama un significato che lo travalica, nel senso inteso da Saint-Pol-Roux quando disse che “il mondo fisico è un vaso colmo di metafisica”. […] Del film di Delvaux si dirà anche che è non solo metafisico ma letterario. Non mi dispiace che questi due aggettivi talvolta scelti per designare il colpo da maestro di un cineasta di quarant’anni siano spesso stati utilizzati per qualificare i quadri di un artista con cui egli intrattiene rapporti evidenti; mi riferisco a Magritte. Delvaux ha riconosciuto questa affinità. […] L’irruzione permanente del mistero nella quotidianità, la fusione dell’astratto e del concreto, del razionale e dell’irrazionale, il punto a metà strada tra esperienza sensoriale e pensiero astratto in cui si annullano le contraddizioni, sono anche le costan ti dell’universo magrittiano. […] Lo stesso legame profondo e minaccioso tra l’essere e gli oggetti, lo stesso potere del sogno, sono presenti nel film, essendo il mondo esterno soltanto l’estensione di ciò che accade nella nostra testa.

Michel Ciment, “Positif ”, n. 82, marzo 1967

 

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