29/06/2016

Cinefilia Ritrovata, ‘Le miserie del signor Travet’

“Pasiensa”. Questa espressione dialettale diventa leitmotiv del personaggio di Ignazio Travet, impiegato regio torinese, che deve far fronte alle angherie di un superiore spregevole, alla superbia di una moglie spendacciona e alla crudeltà di colleghi ipocriti e lacchè. Le vicende sono ambientate nella Torino del 1860, prima capitale del regno d’Italia, quella stessa città che svariati anni dopo avrebbe visto Mario Soldati bambino.

La pellicola è tratta da un classico del teatro dialettale torinese firmato Vittorio Bersezio e intitolato Le Miserie di Monsù Travet, risalente alla fine degli anni ’30. Il film si sarebbe potuto realizzare già anni prima, ma la sceneggiatura fu bocciata dal regime fascista, in quanto ironizzava sulla corruzione degli ambienti governativi. Per tale motivo Mario Soldati lo considerava il suo Roma città aperta: “Questo film fu il mio Roma città aperta: ne sono molto fiero, soprattutto perché ho potuto fare una cosa che i fascisti mi avevano proibito. Travet e Roma città aperta furono girati contemporaneamente; avevamo le stesse difficoltà per trovare la pellicola, della Dupont, ormai vecchia, e dovevamo supplicare gli alleati per averla. Arata è stato l’operatore di Roma città aperta e Terzano di Travet: i due torinesi vecchi operatori del cinema muto“.

Il film fu girato a Roma, poiché Torino non era ancora stata liberata e il film un po’ ne risente in quanto le scene in esterno sono ridotte all’osso, concentrando il fulcro della narrazione a ricostruzioni in interni. Strettamente legato a una dimensione locale, cittadina, nonostante si tratti di quella che fu la prima capitale del regno d’Italia, ci si trova di fronte all’arretratezza di credenze e modi che potevano facilmente portare alla rovina di uomini e famiglie. Arricchito dalla presenza di un giovane Alberto Sordi in versione Groucho Marx, il film presenta il calvario di un uomo troppo buono e per questo in qualche modo colpevole dei soprusi subiti, che però riuscirà a prendersi la sua rivincita, grazie al riscoperto orgoglio e alla sensibilità d’individui che in partenza ne parevano privi.

Oltre al bravo Carlo Campanini che interpreta Monsù Travet, le vicende sono movimentate dalla presenza di Gino Cervi nei panni di un opportunista, ma in fondo buon commendatore e soprattutto di Laura Gore, la frizzante domestica Brigida, personaggio laterale, ma di gran carattere che contribuisce a conferire un tono giocoso alla vicenda. Sempre Brigida è protagonista dell’originale inquadratura finale che indugia “a lungo su un luminoso riso di maliziosa servetta torinese” che, guardando in macchina, recita l’ultima battuta: “A l’è finì! Cerea!”. Soldati ribadisce una grande passione per i suoi personaggi, oltre a conferire una marcata divisione tra chi sta dalla parte del bene e chi no, caratterizza individui e relazioni ambigue che prendono pieghe talvolta inaspettate e sfociano nel tanto atteso lieto fine.

 

Stefano Careddu