YIDDISCHE GLIKN / EVREJSKOE STCHASTJE

Alexandr Granowsky

R.: Alexandr Granowsky. S.: dal romanzo epistolare Menachem Mendel di Scholem Aleichem. Sc.: Grigori Gricher Cherikover. F.: Eduard Tissé, Vassili Chvatov, N.Strukov. Didascalie: Isaak Babel. In: Salomon Michoels (Menachem Mendel), S.Epstein, Tamara Adelheim, M.Goldblat, T. Kazak, I. Sidlo, I.Rogoler. P: Goskino, Mosca 1925. L.: 2.400m, D.: 100’ a 20 f/s

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T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

“Vessato dalla miseria, dalla polizia corrotta, da una struttura sociale che lo vede occupare uno degli ultimi gradini, a Menachem Mendel non resta che arrangiarsi con i più disparati mestieri e sognare l’America. Quando si cimenterà con la delicata professione di propiziatore di matrimoni riuscirà a combinarne di tutti i colori (si rischia un matrimonio fra due donne!) ma saprà mettere una pezza miracolosa, coronando il sogno d’amore del proprio figlio e procurandosi una parentela di tutto rispetto dal punto di vista economico. Ma le cose non migliorano: i nuovi parenti non lo vedono affatto di buon occhio e per Menachem la vita continuerà ad essere una strada in salita. Meraviglia e sorpresa; siamo presi alla sprovvista dal regista Granowsky e dall’ensemble Goset, conosciuto come teatro yiddish antinaturalistico (e antireligioso) dell’avanguardia. Chi osserva cosa e come? Sono sguardi rivolti al ‘proprio’, al proprio paesaggio, alla propria origine ebrea, vicini e familiari; sguardi anche distaccati, dal di qua della rivoluzione, da un puntoesterno, perciò sanno quello che vedono, perciò vedono così chiaramente e delineano la percezione. Nessuna nostalgia per la tradizione, nessun esotizzare se stessi; ma neanche ripudio per la tradizione. Questa vita si presuppone come ovvia, e chi ha nell’orecchio la lingua, le formule, la cadenza, sente come esse accompagnino questo film muto. La religiosità non è sottaciuta, ma incidentale e quotidiana: una preghiera prima della partenza, il rituale del lavaggio delle mani. Il film Yiddishe Glikn è la peregrinazione ebrea più serena che si conosca, del tutto libera, che riesce addirittura ad esprimere la pacata noia dell’attesa e del viaggio. […] Schegge di finzione sono inserite in vedute del mondo reale, che rappresentano la vera sostanza del film e ne costituiscono il sistema: paesaggi, insediamenti ed interni; acque, vie e veicoli. Veicoli: carri, carrozze, treni, battelli a vapore, barche e traghetti. Vie e sentieri: scalinata monumentale, scala in stazione, scala in giardino, lungolago, vialone, strada di campagna, molo portuale e pontile. Acque: il mare luccicante di Odessa, un fiume, uno stagno, una pozzanghera. Neanche l’elaborata gestualità e la mimica di Solomon Michoels sono troppo marcate, ma si allineano a corpi e fisionomie anonime, come lo sguardo professionalmente vuoto del bassista dell’orchestra nuziale alla fine del film. Yiddische Glikn è l’unico film yiddish che non necessita di alcuna attenuante, che non occorre curare con caldi aliti ed interesse come una coccinella acciaccata, a cui si deve infondere nuova vita”.

(Mariann Lewinsky, Cinegrafie, VI, n.9, 1996)

“Abraham Ozark, nato a Mosca nel 1890, segue il padre, viaggiatore di commercio, a Riga dove conclude i suoi studi e, nel 1910, entra come allievo di regia alla Scuola d’Arte Scenica di Pietroburgo. Nel 1912, a Berlino, è uno dei tanti assistenti di Max Reinhardt. Assunto il nome di Aleksey Mihailovich Granowskij (in occidente Alexander Granowsky), ritorna in patria ed esordisce nel 1914. Richiamato alle armi, rimane per tre anni al fronte e, al momento della rivoluzione, si trasferisce in Scandinavia dove, tra Oslo e Stoccolma, si dedica agli studi sul teatro. Di nuovo in Russia, dopo vari esperimenti, tra cui la rappresentazione in un circo dell’ Edipo Re ed un Macbeth al Teatr Tragedii di Pietroburgo, nel 1919 vi fonda un teatro ebraico da camera che l’anno dopo si trasferisce a Mosca. Marc Chagall, entusiasta dell’iniziativa sarà lo scenografo delle rappresentazioni che nel piccolo teatro allestito da Granowsky appariranno ornate da gioiose figure e maschere ebraiche. Nel 1924, assistito dallo sceneggiatore Grigorij Gricher-Cerikover, Granowsky debutta nel cinema e, con l’ensemble del teatro da camera ebraico, porta sullo schermo Judische Glikn (Felicità Ebraica), tratto dal breve romanzo di Shalom Aleichem Menachem-Mendel, una movimentata commedia che narra la storia di un povero ebreo alla ricerca della felicità, trovando in Solomon Mikhoels, celebre attore di teatro, l’interprete perfetto”.

(Vittorio Martinelli, Cinegrafie, VI, n. 9, 1996)

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