Wara Wara

José Maria Velasco Maidana

Sog.: dalla pièce La voz de la quena di Antonio Diaz Villamil; Scen.: José Maria Velasco Maidana, Antonio Diaz Villamil; F.: Mario Camacho; Jose Jimenez, José Maria Velasco Maidana; Scgf.: Arturo Borda; Co.: Martha de Velasco, Alicia Diaz Villamil; Int.: Juanita Taillansier, Martha de Velasco, Arturo Borda, Emmo Reyes, Jose Velasco, Guillermo Viscarra, Damaso Delgado, Raul Montalvo, Juan Capriles, Humberto Viscarra; Prod.: Urania Film; Pri. pro.: 9 gennaio 1930. 35mm L.or. : 2100 m. L.: 1890 m. D.: 69’ a 24 f/s. Bn.

 

 

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T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

“È in una Bolivia semi-feudale che arriva il cinematografo, figliol prodigo della società industriale, alla quale la classe dominante locale rinunciava, placidamente addormentata e cullata dalla ninnananna della divisione internazionale del lavoro. E queste caratteristiche socio-economiche determineranno la sorte del cinema boliviano convertito da allora fino ai nostri giorni in una creazione fatta da pionieri perpetui sostenuti dai propri sforzi di fronte alla pertinace indifferenza dello stato”. (Pedro Susz)

E come giustamente sostiene Pedro Susz, fondatore della Cinemateca Boliviana, fare cinema in Bolivia è materia per pionieri. Così anche José Maria Velasco Maidana, musicista di professione e artista poliedrico, fu un pioniere cinematografico in quegli anni venti che sono considerati l’epoca d’oro del cinema muto boliviano. Lungi dal diventare una vera e propria industria, il cinema boliviano era (ed è tuttora) affidato all’iniziativa di alcuni volenterosi visionari come Pedro Sambarino, Arturo Posnanky e José Maria Velasco Maidana, i quali crearono a La Paz veri e propri laboratori cinematografici che funzionavano in maniera artigianale.
Nel 1925 Velasco Maidana conclude il suo primo lungometraggio, La profezia del lago, che viene immediatamente censurato e distrutto per ordinanza municipale poiché racconta l’amore di una donna dell’aristocrazia boliviana per il suo servo indigeno. Fra il 1928 e il 1929 gira Wara Wara, la storia d’amore impossibile di una principessa Inca per un nobile conquistatore spagnolo. Il film è una vera e propria superproduzione in costume ambientata durante la conquista dell’impero Inca da parte dell’esercito di Pizarro. Con il suo ultimo film sulla guerra del Chaco, nel 1933, termina la sua incursione nel cinema e torna ad occuparsi di quello che gli sta più a cuore, la musica.
Nel dicembre 1938, infatti, viene invitato a Berlino per presentare il suo balletto per orchestra sinfonica, Amerindia. Qualche anno più tardi fonda a La Paz l’orchestra sinfonica nazionale, ma la sua irrequietezza d’artista e forse l’amarezza per essere conosciuto e riconosciuto più all’estero che in patria, lo porta a lasciare il suo paese e la famiglia e ad emigrare prima in Messico e poi negli Stati Uniti dove conosce la pittrice Dorothy Hood con la quale finirà i suoi giorni in Texas.
Nel 1989, anno della sua morte, viene ritrovato nella sua casa di famiglia a La Paz un baule contenente innumerevoli spezzoni di pellicole in nitrato. Non vi è traccia alcuna di copie positive, la maggior parte del materiale è costituito dai negativi camera originali, ma una prima classificazione permette di individuare in Wara Wara la parte più consistente della collezione.  Grazie al Goethe Institute di La Paz nel 1996 una selezione di questo materiale viene inviato in un laboratorio tedesco che si occupa di fare le riproduzioni fotochimiche su supporto di sicurezza, ma rispedisce in Bolivia un metraggio inferiore a quello inviato. Fino al 2001 infatti la “versione restaurata” di Wara Wara risente di quel materiale mancante, ma il decennio di ricerche e investigazioni è servito per gettare luci importanti sull’epoca muta del cinema boliviano. Solo nel 2009, con la decisione di restaurare il film a partire dai negativi originali si sono potuti recuperare anche i 150 metri mancanti, incredibilmente corrispondenti alla parte finale del film.
La complessa operazione di ricostruzione narrativa pertanto si è basata sulle fonti primarie, i negativi stessi, montati in epoca per blocchi di colorazioni differenti, e sulle fonti secondarie, quali la tragedia di Diaz Villamil, ritagli di giornale dell’epoca, documenti di famiglia, interviste agli attori e collaboratori del film. Si sa inoltre che fu Cesar Garces a “sincronizzare” con musica nativa dal vivo le proiezioni d’epoca. Sono stati necessari vent’anni per riportare in vita questo autentico mito della cinematografia boliviana, nonostante le ricerche sulla ricostruzione delle colorazioni e della partitura d’accompagnamento originale continuino. Ma anche questa attività potrebbe essere opera per pionieri.
Stefano Lo Russo

 

Restaurato nel 2010 presso il laboratorio L’Immagine Ritrovata a partire dai negativi camera originali depositati presso la Fondacion Cinemateca Boliviana. Dai negativi originali, restaurati digitalmente in 2K, si è proceduto alla stampa di una copia positiva con suono combinato. La musica di Cergio Prudenzio e il
montaggio di Fernando Vargas, in assenza di copia e partitura d’epoca, sono stati ricreati in base a studi su fonti primarie e secondarie