VOZVRAŠČENIE VASILIJA BORTNIKOVA
Scen.: Galina Nikolaeva, Evgenij Gabrilovič. F.: Sergej Urusevskij. Scgf.: Boris Čebotarëv, Abram Frejdin. Mus.: Kirill Molčanov. Int.: Sergej Luk’janov (Vasilij Bortnikov), Natal’ja Medvedeva (Avdot’ja Bortnikova), Nikolaj Timofeev (Stepan Mochov), Anatolij Čemodurov (Boris Čekanov), Inna Makarova (Fros’ka Blinova), Anatolij Ignat’ev (Pavel), Vsevolod Sanaev (Kantaurov), Klara Lučko (Natal’ja Dubko). Prod.: Mosfil’m · 35mm. Col.
Scheda Film
Gli esperti di cinema sovietico giudicano Il ritorno di Vasilij Bortnikov un’opera di transizione significativa, il primo film del Disgelo post-staliniano: simbolo dell’inevitabile rinascita culturale e insieme esempio di continuità del metodo ‘socialrealista’. Anche se uscì solo due settimane e mezzo dopo la morte di Stalin e fu dunque prodotto entro i confini dell’ortodossia stalinista, il film era permeato da quella tonalità lirica che avrebbe caratterizzato buona parte dei primi film post-staliniani quale metafora di una nuova speranza sociale e segno della transizione ideologica del cinema sovietico verso la centralità dell’individuo.
Bortnikov, ultimo film di Vsevolod Pudovkin, è divenuto un classico: il suo contributo al cinema sovietico è stato identificato con la magistrale espressione dei sentimenti e con l’esplorazione dei percorsi individuali che conducono alla consapevolezza sociale. Nonostante la presenza obbligatoria di conversazioni sull’efficienza agricola e l’importanza di rispettare la linea del Partito, molte scene e immagini del film sono caratterizzate da un sommesso lirismo che contrasta con i toni spesso tagliati con l’accetta che caratterizzavano i film del tardo periodo staliniano.
In Bortnikov questa strategia stilistica è legata alla sistematica descrizione dei cambiamenti stagionali della campagna russa. Sulle prime, le immagini del film possono far pensare alle illustrazioni di una rivista patinata e al ‘realismo’ levigato ma senz’anima dell’estetica stalinista. Ma la familiarità di Pudovkin con il lirismo figurativo, che risale ai ritratti evocativi e simbolici della natura presenti in La madre, il suo capolavoro del 1926, e l’eccellente lavoro di Sergej Urusevskij – probabilmente il più importante direttore della fotografia del Disgelo – trasformano qui le descrizioni della primavera in metafore della rinascita personale e collettiva, ampliando le immagini significative di La madre che raffiguravano la forza rigeneratrice della primavera. Analogamente, la storia del veterano che per vie tortuose si adatta alle complessità della vita in tempo di pace richiama un altro film di Pudovkin, l’insolito melodramma del 1930 Un caso semplice. In un’epoca ancora dominata da un’estetica convenzionale e da opprimenti compromessi artistici, Pudovkin decise di riportare in vita – seppure con prudenza – alcune delle tematiche che lo appassionarono in anni più esaltanti, trasformando così la sua ultima opera in un presagio della trasformazione sociale a venire.
Sergej Kapterev