VELIKOE PROSCIANIE
P.: Centralny Studii Documentalny Filmov. D.: 90′. 35mm.
Scheda Film
Racconta il capo-sceneggiatore di Velikoe proscianie che una mattina un’auto nera si fermò alla sua porta. Ne scesero alcuni individui che lo tirarono giù dal letto e lo portarono al Cremlino. Erano tempi in cui, quando cose simili accadevano, c’erano forti probabilità di non tornare. Si ritrovò insieme a uno stuolo di operatori. Rimasero il ad aspettare che qualcuno dicesse loro qualcosa. Passarono le ore, poi, finalmente, gli fu detto che Stalin era morto. Bisognava cominciare subito a girare, a riprendere il grande dolore del popolo russo e di tutto il mondo. Il film fu girato così, senza una sceneggiatura, una traccia. Poi intervennero i registi, i montatori, gli sceneggiatori.
Ciaureli partecipò al montaggio, ma gli altri erano lì solo perché il film doveva essere un omaggio di tutto il miglior cinema sovietico al “grande condottiero”. Del film, i funerali veri e propri costituiscono solo una parte, anche se decine di operatori erano sulla piazza Rossa, quel giorno di lutto. Giorno di lutto soprattutto per i moscoviti: nessuno sa, neppure oggi, quante persone siano morte calpestate, schiacciate, soffocate dalla folla, quel giorno. Si parla di centinaia, migliaia di morti e feriti.
Il film, girato a colori (colori oggi in parte deteriorati, ma che in questa copia, tratta dei negativi originali, conservano ancora gran parte della qualità originale), è un immenso canto funebre al mondo che si immobilizza, paralizzato dalla notizia della morte del “più grande uomo sulla terra”. Al di là della retorica, non si può negare a Velikoie proscianie di avere una grande forza evocativa. Il commento martellante, la musica ossessiva, un montaggio accurato che spazia sulle città di tutto il mondo, egualmente immobili come le bandiere abbrunate del Cremlino, concorrono a dare al film una forza che sopravvive al tempo e al giudizio su Stalin. Una ennesima prova della abilità di tecnici e registi sovietici, primo fra tutti quel Mikhail Ciaureli che fu travolto dalla caduta di Stalin e soprattutto di Berija, suo grande amico.