VEDI NAPULE E PO’ MORI !
(Italia, 1924). R. e Sc.: Eugenio Perego. F.: Vito Armenise. In.: Leda Gys (Pupatella), Livio Pavanelli (Billy), Nino Taranto (il fratello di Pupatella). P.: Lombardo film, Napoli. 35mm. D.: 57’ a 18 f/s.
Scheda Film
“Non avevo ancora sedici anni, ma già ero abbastanza ricercato per le feste di piazza, cantavo “a fronna ‘e limone” (canzoni a dispetto) e, a volte, venivo anche a recitare nelle “sceneggiate”. Un giorno, nella Galleria Umberto di Napoli, che qualcuno aveva soprannominato “L’ombrello dei pidocchi”, assieme a tanti artisti disoccupati, ero in attesa della provvidenziale “chiamata” quando vedo avvicinarsi due uomini, uno alto, un lumacone, l’altro piccolo, con gli occhialini a pince-nez. Mi vedono e uno dice all’altro: “Eccolo, è lui!”. Ebbi la sensazione che si trattasse di due sbirri. Non avevo niente da rimproverarmi, ma poiché non si sa mai, abbozzai una fuga. Il lumacone mi raggiunse, mi afferrò per la collottola e mi disse: “Guagliò, te vo’ abbuscà trenta lire ‘o juorno pe’ na ventine e juorne?” (ragazzo, vuoi guadagnare trenta lire al giorno per venti giorni?”. “E ch’aggia fà?” (Che dovrei fare?) “O frate e Leda Gys” (Il fratello di Leda Gys). La paura mi passò d’incanto e fu così che debuttai nel cinema. I due erano Livio Pavanelli, il lumacone, era alto quasi due metri, e Perego, il regista del film, che tutti chiamavano “’o Prufessore” (Il Professore)”. Così Nino Taranto ricordava a chi scrive il suo esordio in questo film prodotto da Gustavo Lombardo, un’altra perla di quel cinema popolare napoletano di cui Leda Gys era l’incontrastata reginetta e che i critici snobbavano con stupida supponenza.
Vittorio Martinelli
Emblema di quel biennio 1924-25 che sancisce il trionfo del cinema napoletano, e di quel sodalizio Lombardo-Perego-Gys che rinnoverà presto il successo della formula (con Napoli è un canzone, 1927 e Napule e…niente cchiù, 1928), Vedi Napule e po’ mori! è per certi versi una summa di ciò che la cinematografia napoletana dell’epoca sapeva offrire. Come ci informano le cronache del tempo anche questa pellicola era caratterizzata da quelle performance dal vivo tipiche della produzione partenopea e che, anzi, raggiunsero in questo caso livelli di indubbia ricercatezza. Al cinema Moderno di Roma – ci informa «Il Tevere» – “oltre la numerosa orchestra, in un canto, dove l’addobbo veramente artistico del palcoscenico pone la collina incantevole di Posillipo, dodici pescatori, nel loro tradizionale costume, con chitarre e mandolini alternavano le nostalgiche canzoni ai fox-trots più allegri” e, non diversamente, anche a Torino e Napoli le proiezioni erano accompagnate da ricche orchestrazioni di strumenti tradizionali napoletani o balli di tarantella. È un cinema dunque che non vive semplicemente di un costante accompagnamento musicale ma che, letteralmente come quel Posillipo sul palcoscenico romano, sconfina nella sala, si sporge verso il suo pubblico legandolo a un’esperienza spettatoriale in cui cinema e teatro confondono continuamente i confini e le gerarchie. Questo aspetto è evidente anche nel tessuto del film e indubbiamente, anche in questo caso, il film napoletano torna a confermare il suo carattere di cinema sonoro ante litteram. Ospitando numerose scene sonore, Vedi Napule… non dà solo visibilità a un ricco repertorio di suoni ma li radica anche alla finzione, mostrandoci una Leda Gys soggiogata dal suono (dall’invasata tarantella iniziale, allo scoramento causato dalla serenata dei posteggiatori, fino alla sfrenato canto collettivo finale nei cortei di Piedigrotta) che sembra quasi mettere a tema i caratteri tra l’evasione e il misterico, tipici della festa di Piedigrotta, e la peculiarità di una produzione cinematografica completamente stregata dalla musica e dalla canzone. Forte anche dell’alibi che il soggetto del film gli offre (presentare la breve parabola di una scugnizza attratta dal mondo del cinema), Perego sembra entrare e uscire continuamente dalla finzione, ora aderendo pienamente alla napoletanità del film ora assumendo un occhio più critico, più “torinese” potremmo dire. Questo sguardo si riflette innanzitutto sui luoghi del film. La dinamica spaziale che lo anima, infatti, si rivela in grado di competere con i più celebri film partenopei, da Assunta Spina a Lucia, Lucì; ritroviamo anche qui la Napoli degli scorci sul porto, di Marechiaro, dei bassi e dei fondaco. Soprattutto, anche qui vediamo una città che mai fa da semplice sfondo ma che nella sua urbanistica partecipa in profondità e anzi anima gli eventi: la storia di Pupatella in più punti appare come dramma di scoperta e di appropriazione spaziale, che la porterà dal basso, attraverso il transatlantico e gli studios americani fino a riappropriarsi della città partenopea in una nuova veste, nell’appartamento liberty borghese che domina la strada ma anche nella strada stessa – nel “ventre della città” per dirla con la Serao – al centro della quale i carri di Piedigrotta la porteranno in trionfo.
Paola Valentini
Il film è stato restaurato da un nitrato originale imbibito, relativamente completo per quanto riguarda le immagini, ma privo di didascalie. Sulla base dei materiali non-film disponibili è stata creata una nuova serie di didascalie che sono state inserite nella versione restaurata per facilitare la comprensione del film.