VANINA ODER DIE GALGENHOCHZEIT

Arthur von Gerlach

Sc.: Carl Mayer dal racconto “Vanina Vanini” di Stendhal. F.: Frederik Fuglsang. In: Asta Nielsen, Paul Wegener, Paul Hartmann, Victor Blum, Bernard Goetzke, Raoul Lange. P.: Union. 35 mm.

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T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

Di Vanina, citato da Desnos come uno dei capolavori del cinema muto tedesco, presentiamo l’edizione restaurata dal Münchner Filmmuseum. La copia è il risultato della collazione di un positivo in bianco/nero della Cinémathèque Royale di Bruxelles e del positivo colorato della prima parte conservato dalla Cinémathèque Française. Questo rullo colorato ha, a nostro avviso, un valore particolare per la piena comprensione di quest’opera affascinante, restituendoci (almeno in parte) lo splendore cromatico dell’incendio, che nella notte, sconvolge Torino e che fa da contrappunto al dramma che avvampa i protagonisti. “Finalmente qualcosa di totalmente bello. I cinque atti di Carl Mayer si definiscono una ballata; essi portano come titoli di testa solo semplici numeri romani, e non vogliono creare già nelle scritte dei titoli un’atmosfera che manca alle immagini con l’aiuto di complicati espedienti e giochi decorativi, come è oggi diventato d’abitudine. Lo stile della ballata significa due cose: un unico evento condensato in una trama succinta (l’azione si svolge in una notte) ed un’avvolgente atmosfera lirica pesantemente oscura. Significa anche l’esatto contrario di ciò che era fino a questo momento possibile al film. Si trovano qui fatti brevemente accennati e molte lunghe scene d’atmosfera. Die Galgenhochzeit ci ha fornito la definitiva dimostrazione che questo stile dà al cinematografo non solo la possibilità di essere vera arte, ma anche un’irresistibile efficacia e (malgrado l’esistenza di forme d’arte più riconosciute) un sicuro seguito di pubblico. Nella regia veramente geniale di quest’opera tutta l’interiorità dei sentimenti viene infatti drammatizzata e resa visibile con scene tumultuose. Ogni volta che Wegener e Asta Nielsen si guardano muti negli occhi risuonano in questo sguardo i pugnali e le lance di una furiosa battaglia. E quando Asta Nielsen conduce il suo amato lungo i corridoi dolorosamente interminabili del carcere si vede il dado del cupo destino che rotola, rotola e ancora rotola, fino a lacerare i nervi. Con l’aiuto di una fotografia nella quale mezzi semplicissimi uniscono alla più moderna tecnica, la migliore arte. Il regista porta in questo film un colorito lirico nella cui calda, sanguigna oscurità i destini degli eroi risplendono abbaglianti come brevi lampi in una nuvola di tempesta. E’ veramente una ballata semplice e terribilmente deliziosa. Con geniale ardimento il regista mutua dalla ballata persino il motivo stilistico del ritornello. Il ballo prima e dopo l’assalto al castello e tutte e due le volte la medesima immagine. Le scene della battaglia per le strade di notte con fiaccole e fuggenti silhouettes si ripetono ritmicamente con le stesse immagini. Un azzardo, ma ben riuscito. Queste scene di battaglia meritano una considerazione a parte. Non si vedono in questo film migliaia di comparse che si azzuffano (cosa che, anche sotto la più abile regia, ha sempre dato un’immagine falsa e comica della tragedia e del dolore); si vedono invece fiamme che sprizzano, esalazioni di fumo che si diffondono e nubi di vapore fluttuante nelle quali affiorano e scompaiono qua e là i contorni di una schiera. Ciò offre un’illusione più emozionante delle piacevoli zuffe di massa ed è semplicemente realistico. Finalmente un regista che evidentemente ha già visto in passato con i propri occhi una battaglia.
Paul Wegener interpreta il ruolo di un crudele tiranno paralizzato dalla tremenda, quasi mitica forza. A un certo momento egli si solleva sulle sue stampelle… “Non credo che il regista abbia dovuto far simulare lo spavento degli astanti a questa vista. E Asta Nielsen! Alla fine ella muore di dolore davanti ad una porta chiusa. Le si spezza il cuore. Ero seduto vicino ad un medico, che sa che questo in realtà non può accadere. Eppure mi sussurrava all’orecchio durante la scena (quando ancora non potevamo conoscere la conclusione): ‘Non è semplice svenimento. È la morte. Quest’espressione del viso è inconfondibile. Sì, Asta Nielsen è la più grande. Credo che anche Paul Hartmann abbia ben recitato nel ruolo del bel giovane; ma non ce ne siamo potuti accorgere. È stato schiacciato da questi due giganti”. (Bela Balasz, Der Tag, 26/1/ 1923; trad. di Luca Baldazzi).

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