Tonari No Yae-chan

Yasujiro Shimazu

[La nostra vicina Miss Yae]  T. int.: Our Neighbour, Miss Yae Sog., Scen.: Yasujiro Shimazu. F.: Takashi Kuwabara. Int.: Yukichi Iwata (Shosaku Hattori), Choko Iida (Hamako), Yumeko Aizome (Yaeko), Yoshiko Okada (Kyoko), Ryotaro Mizushima (Ikuzo Arami), Fumiko Nakinureta haru no onna yo  Katsuragi (Matsuko), Den Obinata (Keitaro), Akio Isono (Seiji), Sanae Takasugi (Etsuko Manabe). Prod.: Shochiku
35mm. D.: 76′. Bn.

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T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

Yasujiro Shimazu, pioniere del gendaigeki (film d’ambientazione moderna) e autore di quel Joriku daiippo (Primi passi sulla terra ferma, 1932) che è stato proiettato nella prima parte di questa retrospettiva, nel 2012, è una figura ancora largamente misconosciuta del cinema giapponese degli anni Trenta. Negli anni Venti, quando lavorava negli studios di Tokyo della Shochiku, a Kamata, su incoraggiamento del direttore Shiro Kido iniziò a girare commedie brillanti d’ambientazione moderna come Chichi (Padre, 1923) e Nichiyobi (Domenica, 1924). Questi film prefiguravano lo shomingeki, genere dedicato alla rappresentazione realistica della vita quotidiana delle classi popolari che era destinato a diventare la specialità della Shochiku e che avrebbe visto i preziosi contributi di registi quali Yasujiro Ozu, Mikio Naruse e Keisuke Kinoshita. Shimazu non si limitò a collaborare all’evoluzione dello shomin-geki ma lo arricchì di “un realismo, un fervore e un senso dell’umorismo che lasciarono il segno in tutti i suoi allievi”, tra i quali c’erano molti dei migliori cineasti del cinema classico giapponese.
La nostra vicina Miss Yae è considerato il film più rappresentativo di Shimazu e uno dei suoi migliori risultati nell’ambito dello shomin-geki degli anni Trenta. Il debole del regista per il melodramma dai toni sommessi e il suo talento nel fondere pathos e umorismo si esprimono alla perfezione in questa delicata indagine sulla vita familiare e sull’amore. Il tono e lo stile (la fissità della camera; l’attenzione per le risonanze negli spazi chiusi) invitano inevitabilmente al paragone con Ozu, e David Bordwell individua “molte idee prese a prestito da Sono nato, ma…“. Ma lo stile di Shimazu, più libero e in un certo senso meno formale, ha un garbo tutto suo. Com’è proprio dello shomin-geki, il film crea personaggi che sono sia individui minuziosamente descritti, sia tipi rappresentativi della famiglia giapponese degli anni Trenta, permettendo agli spettatori di identificarsi fortemente con le loro esperienze e i loro sentimenti. Come scrive Mitsuyo Wada-Marciano, “si è formata una ‘nuova’ soggettività, e il film fa sì che il pubblico vi si riconosca”. 

Alexander Jacoby e Johan Nordström

 

Copia proveniente da